DALL'ANTICO AL NUOVO TEMPIO
Penso che in quasi ogni casa ebraica livornese, o di ebrei livornesi ovunque trasferitisi, vi sia una foto o comunque un'immagine dell'antica e maestosa Sinagoga, sorta nei secoli, colpita dai bombardamenti bellici e ulteriormente danneggiata e indebolita dai saccheggi che seguirono a quegli eventi : il "nostro Tempio", per antonomasia ed anche per chi non l'ha potuto vedere se non in fotografia, è quello. C'è poco da fare.
Ne ebbi prova tangibile quando, nel 1996 in occasione della bella mostra patrocinata dal Comune di Livorno ("Le tre Sinagoghe"), una ricostruzione percorribile, in scala, di quella Sinagoga venne allestita e provocò la commossa sorpresa, nell'entrarvi, di quanti avevano conosciuto e frequentato il vecchio Tempio.
Inevitabile pertanto, che la nascita di un nuovo e moderno luogo di culto, dopo la parentesi di via Micali, provocasse discussioni che ancora ai nostri tempi non sono del tutto sopite.
Ma oggi, domenica come allora, è giusto porre l'attenzione sul nuovo Tempio divenuto cinquantenne e che ha comunque segnato un momento storico, quello del ritorno alla normalità ,certo nel ricordo indelebile delle ferite lasciate dagli anni bui del nazifascismo, per la Comunità Ebraica livornese ma che grande valore, per il suo significato e la sua originalità architettonica,riveste anche nella storia cittadina, in particolare della sua ricostruzione dopo le devastazioni belliche.
Auguri quindi al "nuovo" Tempio (le celebrazioni ufficiali sono previste per il 28 ottobre 2012) , l'unico ebraico costruito ex novo nel dopoguerra italiano.
Gadi Polacco
Settembre 1962
Amintore Fanfani guidava il suo IV Governo (DC-PRI-PSDI), Presidente della Repubblica era il pontederese Gronchi ma il suo concittadino Togni (personaggio di riferimento nella vicenda) non era più Ministro dei Lavori Pubblici. Da pochi mesi Vescovo di Livorno, per nomina di Papa Roncalli, è Emiliano Guano che ritengo si possa dire, anche per quanto sentito in famiglia per i rapporti che tenne con mio padre, Rabbino Bruno G. Polacco (analogamente penso con il suo predecessore Rabbino A. S. Toaff), essere stato un pioniere,almeno nelle forme possibili all'epoca, del dialogo interreligioso che poi si svilupperà fortemente con il Vescovo Ablondi.
Sindaco della città è Nicola (Marco) Badaloni, filosofo e docente universitario, e Livorno è da poco la prima città italiana ad essersi gemellata con una israeliana, Bat Yam.
Giorgio Bassani, con il suo "Il giardino dei Finzi Contini", vince in quell'anno il Premio Viareggio.
Presiede la Comunità uno storico Presidente, il Prof. Renzo Cabib , e la cerimonia inaugurale è officiata dal Rabbino Capo Alfredo S. Toaff, dal Rabbino Bruno G. Polacco che lo affianca nella gestione del Culto e dal Rabbino Elio Toaff, da undici anni ormai Rabbino Capo di Roma .
Piero Cassuto ( in seguito Presidente ed oggi alla guida del Benè Berith) era il più giovane dei Consiglieri della Comunità e, salvo mia svista, di quel direttivo è oggi l'unico testimone : il Maestro David Peled, israeliano di Bat Yam, curava per la Comunità attività giovanili ed insegnamento dell'ebraico e, con molti altri che si potrebbero citare,si distinguono nello svolgimento della cerimonia il Parnas (sorta di sovrintendente al Tempio) Guido Novelli ed il Prof. Rabbino Menasci.
L'Architetto che firma la nuova Sinagoga è un ebreo romano, Angelo Di Castro.
Le cronache ci ricordano poi il Coro con il Maestro Lattes e la collaborazione musicale di un giovanissimo Antonio Bacchelli (per un refuso definito Banchelli) che si rivelerà poi un prodigio della musica purtroppo prematuramente scomparso.
La scheda sulla Sinagoga riportata nel sito www.cultura.toscana.it
L'antico tempio israelitico di Livorno viene gravemente danneggiato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e progressivamente spogliato dei suoi rivestimenti lapidei. La comunità israelitica decide allora di vendere le quattro capriate pericolanti del tempio e di reperire i fondi per la costruzione di una nuova sinagoga da edificarsi sulla medesima area della precedente. Gli anni successivi sono caratterizzati da un serrato dibattito sulle modalità della ricostruzione: in un primo tempo si pensa di ricostruire l'edificio "com'era e dov'era" (una variante che prevede lo slittamento del tempio per consentire l'ampliamento del limitrofo palazzo delle Poste viene immediatamente accantonata) ripristinando l'organismo originario reintegrato nelle parti superstiti (progetto definitivo dell'ingegner Vilfrido Vanni del 26.10.1950, esecutivo del 23.7.1951). Tale progetto di reintegrazione trova tuttavia il veto deciso del consiglio dei Lavori pubblici (gennaio 1953) che, complice il ruolo rilevante di Bruno Zevi allora membro del consiglio, impone che il tempio venga edificato in "forme moderne", sia estetiche che distributive, in modo da corrispondere meglio alle esigenze del culto: viene pertanto contattato, sempre su consiglio di Zevi, un nuovo progettista, l'architetto Angelo Di Castro, appartenente alla comunità israelitica di Roma.
Il nuovo progetto si configura in tempi relativamente brevi (tra il 1954 ed il 1955); le soluzioni progettuali, sia formali che distributive, vengono definite congiuntamente dall'architetto e dalla comunità ebraica: varianti sostanziali alla prima versione progettuale si hanno nella definizione della sala, nel profilo della copertura e nella configurazione della parte absidale e dello stabile di servizio. Il progetto per il nuovo tempio viene finalmente inviato al ministero dei Lavori pubblici il 19 maggio del 1956 e sottoposto al Genio civile di Livorno nel 1957. Grazie al contributo economico dello Stato i lavori, dati in appalto nel 1958 all'impresa Ifri di Livorno e successivamente subappaltati alla Cementfer, vengono avviati nel settembre del 1960 e portati a conclusione in meno di due anni: il tempio è ufficialmente inaugurato il 23 settembre del 1962. Il progetto di Di Castro viene sostanzialmente ignorato dalla critica contemporanea: unica eccezione quella di Bruno Zevi, che della costruzione del tempio era stato in qualche modo il promotore, il quale ne diffonde l'immagine dalle pagine della rivista da lui diretta e ne propone una lettura critica in Cronache di Architettura (1964, 1979): in particolare Zevi sottolinea l'indipendenza delle soluzioni del tempio livornese dal modello americano e ne evidenzia il forte riferimento simbolico, alle origini di Israele come al dramma dell'olocausto, sulla base di due motivi ispiratori esterni e paralleli: da un lato il desiderio di ricollegarsi idealmente all'antica tenda del deserto; dall'altro l'impulso di plasmare una forma direttamente sgorgante dal sistema costruttivo in cemento armato.
La sinagoga è situata nel centro storico della città, ad oriente del polo urbano di piazza Grande e del Duomo, al quale è collegata dall'asse di via Cairoli. Il volume del tempio, la cui planimetria è disassata rispetto al reticolo ortogonale del tessuto adiacente, emerge fortemente nel contesto circostante, costituito in prevalenza da edifici di stile neoclassico o degli esordi del novecento, sia per la sua immagine formale che per la svettante volumetria. Esso è come isolato nella centrale piazza Benamozegh, oggi adibita a parcheggio, sulla quale si affaccia ad oriente con l'abside: ad occidente è delimitato dalla via del Tempio mentre a sud si ricongiunge ad un edificio, dove hanno sede gli uffici e la residenza del rabbino, avente il ruolo di ricomporre il reticolo ortogonale.
Il complesso si compone di due diversi edifici, la sinagoga e il nucleo ospitante gli uffici e la residenza del rabbino, diversi per articolazione volumetrica e soluzioni formali.
Il Tempio è caratterizzato da una pianta ellittica e da una volumetria articolata che evoca, grazie all'emergenza delle strutture portanti ed all'articolazione della copertura, l'immagine della tenda. Esso si configura come un organismo dominato dalla cromia grigia del cemento, scandito ritmicamente da intercolumni definiti da pilastri - aggettanti e dal profilo mistilineo - in ciascuno dei quali si inseriscono luci dal profilo poligonale.
Il fronte principale e quello orientale sono diversamente connotati: il primo è caratterizzato da un pronao scandito da tre portali al quale corrisponde, sul retro, la zona absidale dove i cinque intercolumni sono caratterizzati da una muratura compatta punteggiata da piccole fessure triangolari; in quest'ultima il solaio è rialzato rispetto alla quota stradale e la copertura ha una quota più bassa rispetto al resto della copertura, così da ricavare due zone vetrate ad illuminare l'interno.
L'interno del Tempio è caratterizzato da una grande sala a pianta ellittica: in asse con l'accesso è situata la tribuna ospitante lo "Aron", dietro al quale è posto una sorta di coro al quale si accede da due scale simmetriche, mentre l'elemento centrale dell'impianto è rappresentato dalla "Tevà", ovvero il podio dell'officiante, posto ad una quota più bassa rispetto a quella stradale: attorno ad esso si articolano le gradinate in marmo con le sedute per i fedeli circondate da un anello deambulatorio; due rampe di scale laterali prossime all'accesso conducono al soprastante matroneo e ad i locali di culto situati nel sottosuolo. Nell'insieme la sala è caratterizzata dall'alternanza tra il bianco dell'intonaco degli intercolumni ed il grigio dei pilastri e delle travi della copertura, anche qui come all'esterno aggettanti. I pochi elementi decorativi vi si inseriscono all'insegna della sobrietà: il basamento in marmo rosa, le inferriate dal disegno geometrico, i lampadari circolari calanti dal soffitto, le finestre ottagonali ripartite dagli infissi metallici, le fessure triangolari della zona absidale. In questo contesto emergono le due vetrate poste a separare l'aula dall'abside, lamine rosse a perpetua memoria dell'olocausto. L'edificio annesso si sviluppa su tre piani fuori terra più mansarda: l'esterno è caratterizzato dal ritmo regolare delle aperture e dall'alternanza tra le campiture ad intonaco e in laterizio, l'interno presenta una distribuzione tradizionale ed ospita gli uffici della comunità, l'archivio, la biblioteca e la residenza del rabbino.
La scheda biografica di Wikipedia su Angelo Di Castro, l'architetto che ha progettato il nuovo Tempio Ebraico livornese
Angelo Di Castro , Roma 25.01.1901 / Roma 28.11.1989
Negli anni successivi alla
prima guerra mondiale frequentò la facoltà di Ingegneria del
Politecnico di
Torino, ma già nel
1920 fece ritorno a Roma, dove si iscrisse alla facoltà di Architettura, all'epoca influenzata da personalità quali
Marcello Piacentini,
Gustavo Giovannoni,
Arnaldo Foschini ed altri. Di Castro si laureò nel
1924 e nel
1927 aprì uno studio di progettazione.
Si dedicò così alla realizzazione di alcune palazzine romane, partecipando anche ad alcuni concorsi, come quello della nuova Palazzata di
Messina, dove si classificò al terzo posto. Tuttavia, la sua attività professionale fu interrotta intorno al
1939, quando, con la proclamazione delle
leggi razziali fasciste, l'architetto, di
religione ebraica, fu cancellato dall'Ordine. Ciononostante, in questo periodo Di Castro insegnò presso l'Università Ebraica Clandestina, le cui lezioni si tenevano in uno scantinato nel centro di Roma.
Nel dopoguerra riprese l'attività, partecipando al concorso per la
Stazione Termini e progettando, sempre a Roma, alcuni uffici in via Piave (
1948) ed un edificio per appartamenti e negozi in via Tembien (
1949-
1954); lavorò quindi a
Bari,
Firenze (case d'abitazione nel quartiere
Isolotto) e
Copparo (
FE). Quindi operò nuovamente a Roma, dove continuò a mettersi in luce in diversi concorsi, partecipando alla sistemazione del
Roseto comunale di Roma.
La
Sinagoga di
Livorno, costruita nei primi
anni sessanta, rappresenta una delle sue opere più celebri. L'edificio, innalzato sui resti del precedente tempio parzialmente distrutto durante la
seconda guerra mondiale, si richiama alla forma la Grande Tenda destinata a custodire l'
Arca dell'Alleanza, avvicinandosi a coeve progettazioni del dopoguerra, soprattutto tedesche.
Si occupò anche dei piani di ricostruzione di
Bordighera e
Ceprano, mentre nell'ultima parte della sua carriera si dedicò, assime al figlio Marcello, a numerosi restauri.
L'articolo di Adam Smulevich, per Pagine Ebraiche, numero di agosto 2010, in vista della Giornata Europea della Cultura Ebraica con Livorno città capofila per l'Italia
Piazza Benamozegh è una piazza particolare: una strana disposizione di parcheggi, incroci e aree pedonali la rende un puzzle complicato da decifrare. In un angolo, una costruzione in cemento armato dalla struttura insolita. È la sinagoga di Livorno, edificio che nella forma si ispira al Tabernacolo.
Sorge sulla stessa area del vecchio Tempio, antico gioiello degli ebrei livornesi distrutto dalla guerra, dai furti e dagli scempi che seguirono alla devastazione bellica. Per la comunità ebraica la scomparsa di quel punto di riferimento tanto amato e magnificato per il suo splendore in tutto il mondo, si rivela un trauma difficile da superare. Molto va perduto o in polvere, sono pochi gli arredi che vengono salvati dalla distruzione e trasportati nei locali della Yeshivah Marini, un tempo oratorio e adesso sede di un piccolo museo. È proprio la Yeshivah Marini a ospitare le funzioni religiose negli anni in cui la Comunità di Livorno rimane senza sinagoga. I lavori per il nuovo Tempio, ormai da tempo inagibile, vengono appaltati nel 1958 e conclusi quattro anni dopo: il 23 ottobre del 1962 una solenne cerimonia permette agli ebrei livornesi di riappropriarsi di un luogo di culto, edificato grazie anche a significative donazioni di privati e a un ingente intervento statale. Ad occuparsi del progetto di ricostruzione è l’architetto romano Angelo Di Castro, che si deve attenere a una disposizione del ministero dei Lavori pubblici che vieta la riproduzione dell’architettura del vecchio Tempio ebraico. Di Castro, tra i più valenti architetti italiani in circolazione (nel dopoguerra aveva partecipato al concorso per la stazione Termini di Roma), opta per una soluzione originale e ardita. All’interno della sinagoga oggi in uso, al centro della platea è posta la Tevah (il palco con leggio dove si officiano le funzioni), realizzata con i marmi recuperati tra le macerie del vecchio Tempio. Di fronte alla Tevah è collocato un Hekhal ligneo del Settecento, proveniente dalla sinagoga di Pesaro. Il matroneo si trova al primo piano e vi si accede da due scale laterali. Nella parte absidale alta, una vetrata di colore rosso ricorda il sangue dei sei milioni di ebrei che persero la vita con la Shoah. Scendendo invece nel sottosuolo, è possibile accedere a un piccolo oratorio, che nei mesi invernali viene utilizzato come spazio di preghiera al posto del Tempio Maggiore. La prima pietra della sinagoga di Livorno viene posata a metà Seicento. Col passare degli anni sono compiuti continui ampliamenti con la costruzione di arcate e altri ornamenti, spesso finanziati da generosi benefattori. Per la Tevah e l’Hekhal (sovrastato da una corona argentea con un topazio incastonato) è utilizzato il marmo, per le Tavole della Legge la madreperla. Nel 1742 Livorno viene sconvolta da un terremoto, che spinge i vertici della Comunità a rafforzare la struttura per evitare futuri cedimenti. Il momento più alto lo si raggiunge il 20 settembre 1789, vigilia di Rosh haShanah, il capodanno ebraico, quando ha luogo una cerimonia solenne per festeggiare la nuova inaugurazione del Tempio. Nei decenni successivi si assiste a qualche ulteriore accorgimento (ad esempio l’installazione di un organo) ma la struttura resta pressoché immutata. Finché il rabbino capo Alfredo Sabato Toaff, pochi anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, spinge per la creazione di un museo nei locali sottostanti alla sinagoga, una volta sede del Tribunale Rabbinico. Il museo viene realizzato, poi arrivano morte e distruzione. La vecchia sinagoga è ancora nella memoria di molti, ma oggi è non più un ricordo tramandato esclusivamente da racconti e fotografie in bianco e nero. Grazie a Mario Della Torre, ebreo livornese ultranovantenne residente in Israele, e ad altri concittadini che portano nel cuore quella magnifica struttura, alcune foto del Tempio monumentale sono state colorate riproducendo fedelmente i dettagli cromatici che per tre secoli avevano contribuito a renderlo fonte di straordinarie suggestioni. Esiste inoltre una riproduzione in gesso in scala uno a due del Tempio che fu, al momento conservata in un fondo comunale, che verrà rimontata in occasione della prossima Giornata europea della cultura ebraica.
Foto : cerimonia inaugurale, esterno ed interno della Sinagoga di piazza Benamozegh.