Nei giorni scorsi ho inviato la lettera che segue al giornale della mia città, Il Tirreno, e a La Stampa. In precedenza ho segnalato la questione all'Ucei (Unione Comunità Ebraiche Italiane) e una nota l'ho inviata alle caselle PEC del Quirinale e del Ministero dell'Interno.
Egregio Direttore,
la memoria riporta alle elezioni del 1994 quando, coincidendo le elezioni politiche con la Pasqua ebraica,si allungarono i tempi di apertura delle urne per consentire anche agli elettori ebrei di esercitare il loro diritto al voto , peraltro sancito dall'art. 48 della Costituzione quale "dovere civico".
Il diritto all'osservanza del Sabato e delle festività, durante le quali l'azione che il votare comporta non è contemplata, oltre a derivare ovviamente dai principi costituzionali è ribadito, con tanto di elenco delle varie ricorrenze, dalla Legge 101/89 (Intesa tra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).
Ogni anno viene emanato un decreto che riporta le date nelle quali le festività vengono a cadere (l'interazione con il calendario ebraico le rende mobili) e quest'anno i ballottaggi per le amministrative,alcuni dei quali vengono dati per certi e comunque sono sempre possibili,prevedono di tornare alle urne domenica 9 giugno, quindi nel pieno della festività ebraica di Shavuoth (Pentecoste) che avrà inizio, grosso modo, al tramonto di sabato 8 giugno per terminare con quello del 10 giugno.
Una svista, non nutro dubbio alcuno al riguardo, che impedirebbe a dei cittadini di votare , quanto meno ponendoli nel conflitto tra il diritto all'osservanza religiosa (per i credenti anche un dovere) e il diritto al voto che, come ricordato sopra, la Costituzione sancisce essere "dovere civico".
Da liberale e da cittadino ebreo, una svista che richiede, in ossequio ai principi di una moderna democrazia , una soluzione.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti,
Gadi Polacco
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