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25 aprile - I mille ebrei italiani che combatterono per la libertà
Il 25 aprile è la data convenzionale nella quale con gioia celebriamo la Liberazione d’Italia dalla Repubblica Sociale Italiana e dall’occupazione del III Reich nel 1945. In effetti gli Alleati erano sbarcati in Sicilia nel luglio 1943 e Roma e Firenze vennero liberate nel 1944; ma fu nell’ultima decade dell’aprile 1945 che partigiani e alleati raggiunsero le città del nord della penisola. La Liberazione fu il risultato di un vasto e complesso impegno militare e politico.
Tra i combattenti della Resistenza italiana, vi erano circa mille ebrei, un decimo dei quali fu ucciso in Italia o in deportazione (alcuni furono deportati quali ebrei, altri come politici). Alcune decine di essi erano stranieri, giunti nella penisola nei decenni precedenti, o dopo il 1933 tedesco, o negli ultimi anni di guerra. Molti altri ebrei, provenienti da vari paesi e continenti, combatterono in Italia sotto la bandiera della Brigata ebraica o - anch’essi spesso volontari - nei reparti statunitensi e inglesi; tra essi vi furono alcuni italiani emigrati, che scelsero di rientrare a combattere in Italia per l’Italia.
A differenza di quanto accadde in alcune aree europee, i partigiani ebrei italiani non costituirono “raggruppamenti ebraici”. I più aderirono alle formazioni comuniste “Garibaldi” e a quelle azioniste “Giustizia e Libertà”. Vari furono “commissari politici” o svolsero incarichi dirigenti, anche nazionali. Erano quasi tutti maschi, anche perché sulle donne - più libere di muoversi senza destare sospetti - pesava maggiormente il compito di proteggere le famiglie nascoste.
Accanto ai partigiani in senso stretto, altri ebrei furono impegnati in quella che gli storici definiscono “resistenza civile”: l’elevatissima percentuale di rabbini deportati attesta il loro impegno a mantenere vivo l’ebraismo; e molti ebrei braccati poterono sopravvivere anche grazie ad eroici (e talora caduti) attivisti della Delasem e di altri network di soccorso.
La morte e la vita degli ebrei d’Europa e d’Italia dipesero dagli insuccessi e dai successi di chi combatté nazisti e fascisti, ebreo o non ebreo che fosse. Gli ebrei partigiani in Italia furono e resteranno i secondi genitori dei loro confratelli che il 25 aprile riottennero il diritto alla vita, alla libertà, alla democrazia. I circa cento ebrei caduti nella lotta ci sono particolarmente cari (non posso qui non ricordare Gianfranco Sarfatti, che portò al sicuro i genitori in Svizzera e poi rientrò a combattere e morire in Valle d’Aosta). Di un altro caduto, Emanuele Artom, possiamo leggere i “Diari”, ripubblicati l’anno scorso da Bollati Boringhieri a cura di Guri Schwarz. Sono pagine ricche di vita ebraica e di vita partigiana. Alla data del 1 dicembre 1943, riferendo dell’ordine di arresto di tutti gli ebrei emanato il giorno precedente dal governo fascista, il giovane ebreo piemontese scrive: “Che cosa ne sarà della mia famiglia? Forse non vedrò più né mio padre né mia madre. In questo caso chiederò al comandante di essere mandato in una missione tale da essere ucciso”. Fu invece lui a essere arrestato, durante un ripiegamento, da SS italiane: denunciato da una spia quale commissario politico e quale ebreo, Emanuele Artom morì in carcere il 7 aprile 1944 dopo sevizie inenarrabili.
Michele Sarfatti, direttore Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
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