Dal sito della Comunità Ebraica di Roma
Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha rilasciato un’intervista all’Osservatore Romano, in cui ha spiegato di non essere d’accordo con il paragone fatto dal cardinale Kurt Koch fra la croce cristiana e lo Yom Kippur.
Dall’Ansa:
L’accostamento fatto dal cardinale Kurt Koch, capo dicastero vaticano per il dialogo ecumenico, tra la croce cristiana e la festività ebraica dell’espiazione, lo Yom Kippur, non è andato giù al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che sull’Osservatore Romano di domani avverte che chi sostiene il dialogo tra cattolici ed ebrei deve evitare il ricorso a simboli non condivisi. All’origine della querelle c’è l’articolo del card. Koch sull’Osservatore del 7 luglio scorso sui significati della Giornata interreligiosa di preghiera per la Pace di Assisi del prossimo 27 ottobre, in cui il porporato svizzero scriveva che la croce di Gesù ”si erge sopra di noi come il permanente e universale Yom Kippur”, e ”pertanto la croce di Gesù non e’ di ostacolo al dialogo interreligioso; piuttosto, essa indica il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani (…) dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore diventando così fermento di pace e di giustizia nel mondo”. Secondo Di Segni, però, ”ferma restando la condivisione degli obiettivi di pace e giustizia”, queste parole, ”benché ispirate da fraternità e da buona volontà, se non vengono spiegate meglio, possono denunciare i limiti di un certo modo di fare dialogo da parte cristiana”. Di Segni contesta in particolare la proposta di Koch ”all’interlocutore ebreo di farsi indicare ‘il cammino decisivo’ da simboli che non condivide. Tanto piu’ quando questi simboli vengono presentati come sostituzioni, con valore aggiunto, dei riti e dei simboli in cui crede l’interlocutore”. ”Il credente cristiano – spiega il Rabbino Capo di Roma – può certamente pensare che la Croce rimpiazzi in modo permanente e universale il giorno del Kippur, ma se desidera dialogare sinceramente e rispettosamente con l’ebreo, per il quale il Kippur rimane parimenti nella sua valenza permanente e universale, non deve proporre all’ebreo le sue credenze e interpretazioni cristiane come indici del ‘cammino decisivo”. ”Perché allora veramente – prosegue – si rischia di rientrare nella teologia della sostituzione e la Croce diventa ostacolo. Il dialogo ebraico-cristiano soffre inevitabilmente di questo rischio, perché l’idea della realizzazione delle promesse ebraiche e’ base della fede cristiana; quindi l’affermazione di questa fede contiene sempre un’implicita idea di integrazione, se non di superamento della fede ebraica”. Secondo Di Segni, ”la lingua del dialogo deve essere comune e il progetto deve essere condiviso. Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della Croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”. Sull’Osservatore di domani compare anche la replica di Koch, secondo cui ”non si intende sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce ‘il permanente e universale Yom Kippur”’. La questione, comunque, ”non e’ sicuramente un ostacolo al fatto che cristiani ed ebrei, nel reciproco rispetto davanti alle rispettive convinzioni religiose, s’impegnino a promuovere la pace e la riconciliazione e s’incamminino insieme, così, verso Assisi”.
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