Anniversario
29 Nissan 5727 - 29 Nissan 5773
RAV BRUNO GERESHON POLACCO (z.l.) 1917/5678 - 1967/5727
NOTE BIOGRAFICHE
Rav Ghereshon Bruno Polacco z.l. nacque nel 1917 a Cesenatico, dove la
famiglia si era rifugiata durante la prima guerra mondiale. Rimasto
orfano, fu allevato dagli zii paterni, a Venezia, a contatto con
l'ambiente del ghetto lagunare, alle cui tradizioni rimase sempre
legato. Dimostrata, fin dall'adolescenza, una spiccata predisposizione
per gli studi rabbinici, fu avviato in tale direzione dall'allora
rabbino di Venezia Adolfo Ottolenghi z.l. Terminate le scuole superiori,
studiò al Collegio Rabbinico di Roma, compagno di studi di Augusto
Segre z.l., allievo di maestri quali Umberto Cassuto z.l. e Dante Lattes
z.l. Conseguito il titolo di maśkil, tornò a Venezia come hazzan, anche
per aiutare il proprio maestro, affetto da cecità. Dopo la guerra,
mentre fu tra i principali animatori del rinato Circolo Ebraico
Veneziano e della Filodrammatica Ebraica Veneziana (per la quale
scrisse, tra l'altro, Quarant'anni fa, Giobbe, I due shnorrers),
continuò la sua attività con i rabbini Relles z.l. ed Elio Toaff, e,
conseguito il titolo rabbinico sotto la guida del suo nuovo, venerato
maestro Alfredo S. Toaff z.l., assunse nel 1953 la cattedra rabbinica di
Ferrara. Sposatosi, passò, nel 1960, ad aiutare il proprio maestro come
vice-rabbino a Livorno, dove divenne Rabbino Capo nel 1963. Molto amato
per la sua umanità, seppe riprendere l'autentico minhag della comunità
labronica, che lasciò in eredità ai suoi allievi. Molti e importanti i
suoi studi linguistici e storici, rimasti quasi tutti inediti, spesso
incompiuti per l'improvvisa, immatura morte, che lo colse a soli
cinquant'anni. Morì nel 1967.
Un profilo di Rav Ghereshon Bruno Polacco, nel ricordo del Prof. Umberto Fortis
Appartenente alla generazione nata dopo la prima guerra mondiale, Rav
Bruno Polacco fu personaggio poco conosciuto nel panorama culturale
ebraico italiano del Novecento. Schivo e riservato, dotato di
un'eccezionale umanità, che lo fece sempre amare da parte dei suoi
correligionari, nelle tre comunità ove rivestì la carica di vice-rabbino
o di Rabbino Capo, Venezia, Ferrara e Livorno, egli coltivò, con severo
impegno scientifico, oltre agli studi talmudici, gli studi
storico-filologici, con l'intento di ampliare le nostre conoscenze della
storia degli ebrei d'Italia, accumulando una larga messe di saggi e
ricerche, che la sua modestia volle spesso lasciare inediti. Fu la
sorte, del resto, che, per ragioni simili, toccò anche ai suoi copioni
teatrali, scritti per la Compagnia del Circolo Ebraico Veneziano “Cuore e
Concordia”, da lui stesso messi talora in scena, e nei quali cercò di
ricostruire i più tipici ambienti ebraici, dalla shtetl centro-europea
al hatzer veneziano, attraverso l'abilissima creazione di figure
tradizionali del mondo ashkenazita o sefardita o mediante la
ricostruzione dell'antica parlata del ghetto. Sono tutti testi che
meriterebbero di essere conosciuti, per la profondità e il valore della
ricerca, nel primo caso, per il sapore di veridicità e l'affidabilità
della rievocazione, cui la serietà dello studioso offre le migliori
garanzie, nel secondo: opere che qualificano la complessa fisionomia di
un intellettuale, impegnato in una pluralità di direzioni, ma che non ha
avuto, fino a ora, il giusto riconoscimento che gli spetta.
Bruno Polacco nacque il 23 dicembre 1917 ( 8 teveth 5678) a Cesenatico,
dove la famiglia era stata costretta a rifugiarsi in seguito alla prima
guerra mondiale. Rimasto orfano di madre ed essendo il padre richiamato
alle armi, fu affidato alla zia paterna, che lo allevò come un figlio.
La sua educazione e la sua formazione avvennero perciò a Venezia, a
contatto, soprattutto, con l'ambiente del ghetto presso San Girolamo,
dove le ataviche tradizioni sapevano ancora garantire l'antica
solidarietà ebraica.
Dimostrata, fin dagli anni
dell'adolescenza, una spiccata propensione per gli studi rabbinici, fu
avviato e favorito in tal direzione dall'allora rabbino di Venezia
Adolfo Ottolenghi z.l. Furono, per Rav Polacco, anni di fattiva
partecipazione alla vita comunitaria, soprattutto nei centri giovanili e
presso il Circolo Ebraico Veneziano, una delle istituzioni allora più
importanti della Venezia ebraica.
Terminate le scuole
superiori, passò al Collegio Rabbinico a Roma, dove, compagno di studi
di Augusto Segre z.l., ebbe come docenti Umberto Cassuto z.l. e Dante
Lattes z.l. e dove conseguì il titolo di maskil, prima di tornare
definitivamente a Venezia, per assumere la carica di hazzan e per
aiutare il proprio maestro Ottolenghi, affetto, negli ultimi anni della
sua vita, da cecità. Riprese, così, i contatti con il Circolo Ebraico,
e, stimolato dalla presenza di una filodrammatica attiva e applaudita,
tentò la via del teatro dialettale, scrivendo, nel 1939, Quarant'anni
fa, commedia nella quale riuscì a ricostruire, con grande abilità, la
vecchia parlata del ghetto veneziano, i cui residui aveva ascoltato, da
bambino, dalla bocca degli ultimi utenti della generazione a lui
precedente.
Sfuggito alle persecuzioni razziali, riassunse la
carica di hazzan e di vice rabbino, prima con Rav Relles z.l., poi con
Rav Elio Toaff, che gli fu sincero amico, e si prodigò per la rinascita
della Filodrammatica Ebraica Veneziana per la quale produsse alcuni
nuovi copioni, rimasti inediti. Dapprima furono semplici canovacci,
scritti in occasione della festa di Purim, come Scherzeto de mascare o I
boresi del '700; poi il disegno si fece più ambizioso e portò alla
stesura di due testi di notevole spessore: Giobbe, di cui è giunto a noi
solo il primo atto, e, nel 1950, I due shnorrers, tratto dalla celebre
opera di Zangwill.
L'attività teatrale e l'impegno come
insegnante nella rinata scuola ebraica non fecero, tuttavia, trascurare
gli studi biblici e talmudici. Conseguito, pertanto, il titolo rabbinico
(suo maestro, amato e venerato, era intanto divenuto Rav Alfredo S.
Toaff, rabbino di Livorno), assunse, nel 1953, la sua prima cattedra
come Rabbino Capo a Ferrara, dove, dopo il matrimonio con Nella Fortis,
rimase per sette anni, attivo nel risollevare le sorti della comunità
che fu di Isacco Lampronti, ma dedicandosi anche a ricerche storiche e
archivistiche. Tra i suoi studi, rimasti anche questi inediti, va
ricordato un documentato saggio su L'Università degli uomini lusitani di
Ferrara e un'ampia analisi su La comunità di Ferrara e il suo Talmud
Tora dalle origini a Isacco Lampronti.
Nel 1960, quando il suo
maestro Alfredo S. Toaff lo volle con sé, lasciò Ferrara e si trasferì a
Livorno, dove, nel 1963, assunse la carica di Rabbino Capo, amato e
stimato dai suoi correligionari. Continuò ad affiancare all'attività
rabbinica il suo impegno in studi linguistici e filologici, ponendo, tra
l'altro, mano a un dizionario della lingua ebraica, del quale restano i
lemmi delle prime due lettere, e pubblicò uno studio su Abravanello
Giudeo. Numerose le altre opere alle quali stava attendendo, quando la
morte lo colse immaturamente all'età di soli cinquanta anni. Era il 29
di nissan 5727.
(Tratto da: Umberto Fortis, Il ghetto in scena, Roma, Carucci, 1989, con tagli)
RAV BRUNO POLACCO (z.l.) : IL RICORDO DI RAV GIUSEPPE LARAS NEL 40° DELLA SCOMPARSA
Quando a fine estate del 1968 giunsi a Livorno per assumere il
Rabbinato di quella comunità,che era stata la comunità di origine della
mia famiglia paterna,era trascorso già un anno dalla scomparsa di Rav
Bruno Ghereshon Polacco (z.l.).
La sua mancanza veniva
avvertita nella comunità in modo indiretto e diretto : sia, cioè, in
quella sorta di smarrimento, che è tipica della comunità rimasta a lungo
priva di una guida religiosa, sia più esplicitamente nelle espressioni
di affetto e di rimpianto che si ascoltavano da parte di molti membri
della comunità.
Il mio ricordo di lui inizia a Venezia,
un’estate di tanti anni fa, quando mi trovavo là per seguire non so più
quale seminario.
Fungeva allora da Vice-Rabbino , detenendo il
diploma rabbinico di primo grado (Maskìl) e si occupava di Hazzanut, di
insegnamento e di shechità.
La Semichà Rabbinica superiore la
conseguirà più tardi presso il Collegio Rabbinico Italiano di Roma, in
ciò incoraggiato da Rav Alfredo S. Toaff z.l. e dal di lui figlio – sia
distinto per la vita – Rav Elio Toaff.
Prima di essere
insediato come Rabbino Capo a Livorno, chiamatovi dal suo predecessore e
maestro nel 1960, aveva esercitato il Rabbinato per alcuni anni a
Ferrara.
E’ circa intorno a quel periodo che ebbi modo di
conoscerlo meglio : l’occasione fu una mia richiesta di informazioni su –
così mi pare di ricordare- Jaakov Abrabanel un banchiere stabilitosi a
Ferrara intorno alla metà del ‘500.
Assieme alla cordiale disponibilità, ebbi allora modo di apprezzare anche la sua competenza storica ed archivistica.
Quando penso a lui, lo rivedo con il suo sorriso arguto, a tratti un po’ scanzonato, e sempre cordiale.
“Esistono tre tipi di corone : la corona della Torah, la corona del
Sacerdozio, la corona del Regno, ma la corona del buon nome è superiore a
tutte” (Avoth IV, 13).
Pensando a lui, mi viene d’istinto in
mente questa mishnah che in una cornice di apparente semplicità, ci
impartisce una lezione preziosa : la “corona del shem-tov” cioè la buona
fama di cui un individuo gode nella considerazione delle persone,
nell’immaginario della gente comune, a differenza delle altre “corone”
che la precedono, non comporta di per se alcuna implicazione connessa ad
un kavod particolare.
Invece – ci insegna la mishnah – non
solo non è così, ma il livello del shem-tov si colloca in una dimensione
che , addirittura, è superiore alle altre, dato che esse, se non sono
accompagnate da un comportamento eticamente ineccepibile, cessano
automaticamente di comportare alcun obbligo di kavod.
Ma,
parlando di shem-tov , non si può non richiamare un noto verso di
Qohelet ( I,7 ) : “val meglio il (buon) nome dell’olio profumato”.
Un antico commento, per dar conto dell’accostamento fama-olio e della
dichiarata superiorità di quest’ultimo, spiega che , a differenza
dell’olio odoroso che, con il passar del tempo, si affievolisce sempre
più fino a sfumare del tutto, il buon nome di una persona che ha in vita
ben meritato, più passa il tempo, più ingigantisce e si consolida.
E’ per questo che, pur a distanza di 40 anni dalla morte, continuiamo a sentirlo vivo nel ricordo e nel rimpianto.
Rav Giuseppe Laras, Presidente Emerito della Assemblea Rabbinica
Italiana e Presidente del Tribunale Rabbinico dell’Alta Italia, è stato
Rabbino Capo di Ancona, carica oggi nuovamente detenuta,Livorno e
Milano. Professore di Storia del pensiero ebraico all’Università Statale
di Milano,studioso di filosofia medievale e conferenziere, è autore di
vari apprezzati testi sul pensiero ebraico e collabora a diverse riviste
di argomento religioso ebraico.
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