non appena Kadima,il suo partito, nominerà il nuovo leader tramite primarie.
Sul "Jerusalem Post", al sito www.jpost.com , ulteriori notizie e commenti.
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11.07.2008 C'é ancora dice "rabbino" per dire "avaro"
e lo scrive anche
Testata:Sky Life
Autore: Loretta Lanfredi
Titolo: «Oroscopo»
A pag. 258 della rivista SKY LIFE di luglio/agosto 2008, nella rubrica
"oroscopo" a cura di Loretta Lanfredi,si legge per l'Ariete quanto segue:
finanze in ribasso: siate piu economi di un rabbino scozzese
Invitiamo i nostri lettori a telefonare al numero che riportiamo sotto, per
esprimere i propri commenti su questa ripresa di uno stereotipo antiebraico
non certo innocuo.
PIU' CHE CHIAMARE IL CALL CENTER, PERO', LA LETTRICE CHE HA SEGNALATO LO
SQUALLIDO OROSCOPO INFORMA CHE E' POSSIBILE PROTESTARE SCRIVENDO AL FAX:
02 76 10 107
SKY, nonostante il nome, non si puo' proprio dire che voli alto!
Intervenendo al meeting internazionale di San Rossore dedicato ai grandi
temi e alle sfide della globalizzazione e quest'anno in particolare
intitolato "Contro ogni razzismo, capire le differenze, valorizzare le
diversità", il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna ha dichiarato:
Sappiamo bene che i temi prescelti per l'appuntamento annuale di San
Rossore sono sempre di grande importanza.
Ma quest'anno in particolare voglio esprimere tutto il mio apprezzamento
per l'argomento scelto, che è di estremo interesse e di grande
attualità.
E' una scelta giusta e coraggiosa, e gli autorevoli relatori presenti ci
aiuteranno ad esaminarne e approfondirne i più diversi aspetti.
Alla discussione su questo tema noi ebrei possiamo portare il contributo
della nostra storia e della nostra esperienza.
Noi che spesso siamo stati identificati come il simbolo della diversità e
siamo stati vittime del pregiudizio e del razzismo, dopo secoli di alterne
vicende, siamo oggi integrati in Italia. Integrati senza perdere la nostra
cultura, le nostre tradizioni e i nostri specifici valori.
Come rappresentante degli ebrei italiani provo emozione e, nello stesso
tempo, orgoglio nel portare il saluto ad un convegno sul razzismo che si
svolge proprio qui, nella tenuta di San Rossore che oggi appartiene alla
Repubblica italiana, ma che ieri era la tenuta del Re d'Italia. Di quel
Re, Vittorio Emanuele III, che proprio 70 anni fa, il 5 settembre 1938,
mise la sua firma, insieme a Mussolini, al regio decreto n. 1390. Con
indifferenza, forse con noncuranza e certamente con cinismo ha contribuito
all'immane tragedia che ne seguì.
Le leggi, dette "razziali", in realtà razziste del 1938 furono l'inizio di
una persecuzione che investì tutti gli aspetti della vita sia pubblica che
privata degli ebrei. In particolare quel decreto 1390, firmato qui a San
Rossore, vietava ai ragazzi ebrei di frequentare tutte le scuole pubbliche
del Regno d'Italia.
Quante considerazioni possiamo fare riflettendo su quelle leggi infami!
Per questo oggi siamo qui a San Rossore, per riaffermare con forza che le
discriminazioni e le umiliazioni non devono più colpire nessuna donna,
nessun uomo, nessun bambino.
In settanta anni la condizione degli ebrei italiani, ha compiuto progressi
enormi.
Settanta anni fa le leggi razziali segnarono la vita dei nostri genitori,
dal punto di vista politico, culturale, economico, sociale, morale,
psicologico. Ma segnarono anche la vita di tutta la Nazione italiana.
Solo pochi ebbero il coraggio di opporvisi e lo fecero correndo gravi
rischi, e a volte perdendo la vita, ma furono loro, quasi sempre gente
semplice, che salvò la dignità dell'Italia.
La grande maggioranza degli italiani le appoggiò, le subì o le ignorò.
Con quelle leggi il Paese ha commise un grave atto di ingiustizia e
contemporaneamente perse il contributo di cultura e di civiltà che la
comunità ebraica aveva sempre dato alla società italiana.
Oggi che la Costituzione garantisce le libertà e i diritti di tutti,
ripensiamo spesso a quella nostra esperienza, soprattutto quando le notizie
della cronaca e della politica ci ripropongono temi come il razzismo, la
diversità, gli stranieri immigrati.
In questi giorni assistiamo e partecipiamo ad un vivace dibattito nel quale
si confrontano da una parte i sostenitori di maggiore sicurezza e,
dall'altra, i difensori dei diritti fondamentali di uguaglianza e di pari
dignità di tutti, senza distinzioni di nazionalità di etnia o di
religione.
Oggi, in larghi strati della nostra società, è diffuso un senso di
impotenza e di esasperazione. Sono sentimenti preoccupanti che possono
trasformarsi in sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni.
E' necessario dare una risposta alle istanze di sicurezza della
collettività, ma dobbiamo fare grande attenzione.
Tutti hanno il dovere di osservare le leggi. E tutti hanno il diritto di
essere giudicati solo sulla base dei propri comportamenti.
Dobbiamo vigilare perché le giuste e necessarie azioni repressive verso
coloro che violano le leggi non si trasformino in azioni di intimidazione o
di discriminazione verso gli interi gruppi di appartenenza.
Le leggi esistono e devono essere rispettate. Anche modificate, se
necessario.
Ma contemporaneamente non si deve permettere che cada il principio della
presunzione di innocenza e venga sostituito dall'esatto contrario, da una
presunzione di colpevolezza nei confronti di un gruppo etnico; questo
sarebbe razzismo.
Cerchiamo invece di conoscere e di valorizzare tutte le diversità.
Le occasioni sono tante.
Cogliamo queste opportunità per aprire la nostra società, per
arricchirla.
Vinciamo le diffidenze con la conoscenza.
In questo senso sono certo che i relatori di questo Meeting potranno
fornire un importante contributo teorico e di analisi, ma anche efficaci
proposte di natura politica e sociale.
Ritengo importante, infatti, che l'occasione presentata da questo
dibattito non debba esaurirsi in sterili teorizzazioni o dichiarazioni di
principio, ma che, invece, debba consentire di affrontare in maniera
civile e costruttiva le cause e le conseguenze del disagio e
dell'emarginazione nei quali vivono gran parte degli stranieri immigrati
in Italia.
Le loro condizioni di vita miglioreranno solo se riusciremo ad ottenere la
loro stessa collaborazione, aiutandoli, così, ad entrare in sintonia con
le leggi, le tradizioni e la civiltà di questo paese nel quale hanno
scelto di trasferirsi e nel quale molte persone sono pronte a lottare per
difendere i loro diritti e la loro specifica identità.
La nostra esperienza di ebrei in Italia, una presenza di oltre venti
secoli, ci rende consapevoli del fatto che superare le diffidenze causate
dalle differenze non è facile, ma è possibile.
Che si può vivere integrati nella società con la propria cultura; senza
perdere le proprie usanze e tradizioni, e contribuendo con i propri valori
ad arricchire la società stessa.
Perché la diversità deve essere una ricchezza. E una società che conosce
e capisce le differenze diventa più accogliente e, quindi, più giusta,
per tutti.
Renzo Gattegna
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(A CURA DI ucei iNFORMA)
Da un articolo di Ashley Perry
Probabilmente Israele è il meno efficiente artefice di "pulizia etnica"
della storia dell'umanità, nonostante quel che dice la propaganda
avversaria.
Nel 1947 vivevano nella Palestina sotto Mandato Britannico circa 740.000
arabi palestinesi. Oggi gli arabi che vivono in Cisgiordania e striscia di
Gaza più gli arabi che sono cittadini israeliani ammontano a più di
cinque milioni (in tutto, nel mondo,sono più di nove milioni le persone
che si definiscono palestinesi). Da un semplice calcolo emerge che il tasso
di crescita della popolazione palestinese è stato quasi il doppio di
quello in Africa e in Asia in un analogo lasso di tempo.
Il croato Drazen Petrovic definiva la "pulizia etnica" come "una ben
precisa politica di un particolare gruppo di persone intesa ad eliminare
sistematicamente la presenza di un altro gruppo da un dato territorio".
Sulla base di questa definizione, il lungo conflitto arabo-israeliano ha
visto la realizzazione di una sola, vera pulizia etnica: quella degli ebrei
che vivevano da secoli in Asia e nord Africa. Mentre, prima del 1948,
c'erano quasi 900.000 ebrei che vivevano in terre a maggioranza araba, nel
2001 ne rimanevano non più di 6.500.
Coloro che sostengono che Israele avrebbe perpetrato una pulizia etnica a
danno degli arabi non sono in grado di citare una sola ordinanza o
disposizione in questo senso. La pulizia etnica degli ebrei dalle terre
arabe, invece, fu una politica ufficiale di stato. Gli ebrei vennero
ufficialmente espulsi da molte regioni del mondo arabo. La Lega Araba
diffuse una dichiarazione con cui raccomandava ai governi arabi di
promuovere l'uscita degli ebrei dai paesi arabi, risoluzione che venne
attuata attraverso tutta una serie di misure punitive e di ordinanze
discriminatorie che resero impossibile la permanenza degli ebrei nelle
terre dove erano nati.
Il 16 maggio 1948 il New York Times registrava una serie di misure prese
dalla Lega Araba allo scopo di emarginare e perseguitare gli ebrei
cittadini degli stati membri. Riportava fra l'altro il testo di una legge
"redatta dal Comitato politico della Lega Araba", volta a governare lo
status legale degli abitanti ebrei nei paesi della Lega Araba. Essa
disponeva che, a partire da una data specifica, tutti gli ebrei – ad
eccezione di quelli che non fossero cittadini di un paese arabo –
venissero considerati "membri della minoranza ebraica di Palestina". I
loro conti bancari sarebbero stati congelati e usati per finanziare la
resistenza contro "i piani sionisti in Palestina". Gli ebrei ritenuti
sionisti attivi sarebbero stati internati e i loro beni confiscati.
Nel 1951 il governo iracheno approvò una legge che rendeva reato
l'affiliazione al sionismo e ordinava "l'espulsione degli ebrei che si
rifiutano di firmare una dichiarazione contro il sionismo". Il che
contribuì a spingere fuori decine di migliaia di ebrei che vivevano in
Iraq, mentre la gran parte delle loro proprietà veniva confiscata dallo
stato.
Nel 1967 molti ebrei egiziani vennero internati e torturati, le case
ebraiche confiscate. Quello stesso anno in Libia il governo "sollecitava
gli ebrei a lasciare temporaneamente il paese" permettendo a ciascuno di
loro di portare con sé una sola valigia e l'equivalente di 50 dollari.
Nel 1970 il governo libico promulgò nuove leggi per la confisca di tutti i
beni degli ebrei libici, emettendo al loro posto obbligazioni con scadenza
a 15 anni. Ma quando i buoni maturarono, non venne pagato nessun rimborso.
Il leader libico Muammar Gheddafi si giustificò dicendo che "lo
schierarsi degli ebrei con Israele, nemico delle nazioni arabe, li priva
del diritto al rimborso".
Non sono che pochi esempi di ciò che divenne una politica comune un po'
in tutto il mondo arabo, per non menzionare i pogrom e le aggressioni
contro ebrei ed istituzioni ebraiche che giocarono un ruolo decisivo
nell'esodo degli ebrei da quei paesi.
Anche le sofferenze sul piano economico delle due popolazioni di profughi
(ebrei dai paesi arabi e arabi di Palestina) non furono eguali. Secondo una
ricerca pubblicata di recente – "The Palestinian Refugee Issue: Rhetoric
vs. Reality" dell'economista Sidney Zabludoff, già consigliere della
Cia, della Casa Bianca e del Tesoro americano (in Jewish Political Studies
Review, aprile 2008 ) – il valore dei beni perduti dalle due popolazioni
di profughi è straordinariamente diseguale. Utilizzando i dati di John
Measham Berncastle, che nei primi anni '50, sotto l'egida dell'allora
appena costituita Commissione Onu per la Conciliazione in Palestina
(UNCCP), si assunse il compito di stimare i beni dei profughi palestinesi,
Zabludoff calcola che quei beni ammontavano a 3,9 miliardi di dollari in
valuta attuale. I profughi ebrei, essendo maggiori di numero e più
urbanizzati, erano proprietari di un patrimonio complessivo pari almeno al
doppio di quella cifra.
Inoltre bisogna tener conto del fatto che Israele, nel corso degli anni
'50, ha restituito più del 90% di conti bancari bloccati, cassette di
sicurezza e altri beni appartenenti a profughi palestinesi, il che
diminuisce in modo significativo la somma calcolata dalla UNCCP.
Questi fatti vengono accortamente dimenticati e non pubblicizzati,
permettendo a denigratori di Israele come il professor Ilan Pappe (prima
all'Università di Haifa, ora in quella di Exeter) di non menzionare
neanche di sfuggita la vera, grande pulizia etnica perpetrata in Medio
Oriente.
Di recente, però, alcuni eventi stanno gettando nuova luce sulla
percezione di questa storia che ha la comunità internazionale. Lo scorso
primo aprile il Congresso degli Stati Uniti ha adottato la risoluzione 185
che per la prima volta riconosce il caso dei profughi ebrei dai paesi
arabi, ed esorta il presidente e gli altri rappresentanti americani che
prendono parte a colloqui in Medio Oriente ad assicurarsi che ogni
riferimento ai profughi palestinese "sia accompagnato da un analogo,
esplicito riferimento alla soluzione della questione dei profughi ebrei dai
paesi arabi".
Altrettanto importante, il 24 giugno ha avuto luogo alla Camera dei Lord la
prima audizione mai avvenuta nel parlamento britannico sul tema dei
profughi ebrei dai paesi arabi, convocata dal parlamentare laburista John
Mann e da Lord Anderson di Swansea, e organizzata dall'associazione
Justice for Jews from Arab Countries (JJAC) insieme al Board of Deputies of
British Jews.
Una maggiore conoscenza della questione dei profughi e della pulizia etnica
degli ebrei dal mondo arabo in generale offrirà una conoscenza più chiara
e completa della storia della regione a un gran numero di persone. Non si
può affermare che un popolo ha subito una "pulizia etnica" da una zona
in cui è aumentato di numero a un tasso doppio di quello dei suoi vicini
geografici. Viceversa, un popolo che ha visto ridotto il suo numero in una
certa zona di 150 volte nel corso di pochi decenni può sostenere a buon
diritto di aver subito una pulizia etnica.
(Da: Jerusalem Post, 24.07.08 )