domenica 28 marzo 2010

Il Papa, Berlusconi ed una sedia per Shalit

"La pace  è un dono che D-o affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono. Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza".
E' questo un estratto della dichiarazione papale di domenica 28 marzo 2010,ad inizio del percorso pasquale della  Chiesa .
Dirla "papale" è un noto eufemismo perchè,come in politica,molto spesso anche i capi della Chiesa usano linguaggi criptici : chi sono quindi "i responsabili delle sorti di Gerusalemme" ai quali viene richiesto di perseguire con coraggio e perseveranza la via della pace?
Probabilmente gli israeliani che,in questi giorni,sono tornati ad essere visti come i "cattivi" che agiscono "a prescindere", come direbbe Totò e visto che infatti si evita spesso di ricordare gli atti ostili delle controparti ( quando si parla di Hamas in particolare razzista e terrorista all'estremo) ai quali Israele risponde.
In sintonia dalla Libia dell' "amico Gheddafi", noto strenuo difensore della democrazia e della libertà (per i distratti sottolineo che è un paradosso), giungono anche le dichiarazioni del Presidente Berlusconi che appare,occorre dirlo, troppo "sensibile" agli ambienti che di volta in volta frequenta ed ai quali elargisce generosamente parole gradite agli interlocutori di turno.
Ci apprestiamo quindi a celebrare Pesach, la Pasqua ebraica che è festa di libertà,in questo clima : certo i govenanti israeliani sono criticabili,come tutti gli umani,e possono anche sbagliare ma le visioni a senso unico di sicuro non aiutano il progredire della pace e poi,come ricorda il saggio popolare,per sposarsi occorre essere in due.
Nell'imminenza del Seder di Pesach, la cena pasquale che nella Diaspora celebriamo per due sere consecutive,accanto alla sedia vuota in attesa del Profeta Elia aggiungiamone quindi  un'altra, accogliendo l'invito della famiglia, in ricordo del soldato israeliano Shalit ,rapito da coloro che probabilmente in questi giorni hanno tentato di ripetere l'azione e che attende ancora di essere restituito ad una vita normale dopo anni di disumana segregazione.
Un modo,questo, per ricordarsi sempre e ricordare a tutti che ogni medaglia ha il suo rovescio.Felice Pesach,nonostante tutto.
Gadi Polacco


venerdì 26 marzo 2010

DA LUNEDI 29 MARZO SERA HA INIZIO PESACH, LA PASQUA EBRAICA CHE "INCONTRERA'" ANCHE QUEST'ANNO QUELLA CATTOLICA

COMUNITANDO
www.livornoebraica.org
(a cura di Gadi Polacco)

Da lunedi sera, 29 marzo 2010, avrà inizio la festività di Pesach, ovvero la Pasqua ebraica basata sulla rievocazione della liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. Della durata di otto giorni, Pesach "incontrerà" quindi anche quest'anno la Pasqua cattolica : un'occasione quindi per augurare ad ebrei e cattolici un felice periodo pasquale.
Gadi Polacco
(curatore del blog COMUNITANDO)


PESACH (LA PASQUA EBRAICA) IN UNA SCHEDA TRATTA DAL SITO DELL'UNIONE DELLE COMUNITA' EBRAICHE ITALIANE (testo a cura di Sira Fatucci)
Pesach, la pasqua, è la prima delle tre grandi ricorrenze liete della tradizione ebraica. La festa commemora la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, evento che diede origine alla vita indipendente del popolo d’Israele e che fu il primo passo verso la promulgazione della Legge divina.
Inizia il 15 del mese ebraico di Nissàn nella stagione nella quale, in terra d’Israele, maturano i primi cereali; segna quindi l’inizio del raccolto dei principali prodotti agricoli. È anche nota col nome Hag
hamatzot, festa delle azzime. In terra d’Israele Pesach dura sette giorni dei quali il primo e l’ultimo di festa solenne, gli altri di mezza festa. Fuori d’Israele - nella Diaspora - la durata di Pesach è di otto giorni, dei quali i primi e gli ultimi due sono di festa solenne. In ricordo del fatto che quando furono liberati dalla schiavitù gli Ebrei lasciarono l’Egitto tanto in fretta da non avere il tempo di far lievitare il pane, per tutta la durata della ricorrenza è assolutamente vietato cibarsi di qualsiasi alimento lievitato o anche solo di possederlo. Si deve invece far uso di matzà, il pane azzimo, un pane non lievitato e scondito, che è anche un simbolo della durezza della schiavitù.
I giorni precedenti la festa di Pesach sono dedicati a una scrupolosa e radicale pulizia di ogni più riposto angolo della casa per eliminare anche i piccoli residui di sostanze lievitate. Usanza mutuata anche dalla lingua italiana nella quale ricorre spesso l’espressione "pulizie di Pasqua" – sinonimo anche delle "pulizie di primavera".
La prima sera viene celebrato il
Seder, in ebraico "ordine", suggestiva cena nel corso della quale vengono rievocate e discusse secondo un ordine prestabilito le fasi dell’Esodo, rileggendo l’antico testo della Haggadah. Si consumano vino, azzime ed erba amara in ricordo dei dolori e delle gioie degli Ebrei liberati dalla schiavitù. Si inizia con l’invito ai bisognosi ad entrare e a partecipare alla cena e si prosegue con le tradizionali domande rivolte al padre di famiglia dal più piccolo dei commensali; la prima di queste è volta a sapere "in che cosa si distingue questa notte dalle altre?". Tali quesiti consentono a tutti i presenti di spiegare, commentare, analizzare i significati dell’esodo e della miracolosa liberazione dall’Egitto, le implicazioni di ogni schiavitù e di ogni redenzione.
I simboli della festa, la scrupolosa pulizia che la precede, il pane azzimo vale a dire il "misero pane che i nostri padri mangiarono" - il
Seder, la lettura della Haggadah, fanno sì che ben pochi bambini arrivino all’adolescenza senza conoscere la storia dell’uscita dell’Egitto e senza avvertire che questa è una parte essenziale della loro storia.
La
matzà, il duro alimento che sostituisce il morbido e saporito pane di tutti i giorni, sta anche ad indicare il contrasto tra l’opulenza dell’antico Egitto, l’oppressore, e le miserie di chi, schiavo, si accinge a ritrovare appieno la propria identità.
Può anche ricordare che la libertà è un duro pane, così come l’eliminazione dei lieviti può rappresentare la necessità di liberarsi dalla corruzione della vita servile e anche dalle passioni che covano nell’intimo dell’animo umano.

LA RICETTA DELLE "SCODELLINE", TIPICO DOLCE PER PESACH DELLA TRADIZIONE LIVORNESE (DA ALCUNI RITENUTO DI ORIGINE SPAGNOLA) ED ASSAI DIFFUSO ANCHE ALTROVE:
Dovete avere a disposizione,misura per un commensale, 1 tuorlo d’uovo, 1 cucchiaio di zucchero, 6 mandorle dolci, 1 mandorla amara, 1 albume ogni 5 uova, buccia di limone grattugiata, cannella q.b.

Come si preparano: mettete lo zucchero sul fuoco aggiungendo poca acqua e fatelo bollire fino a che attacca, ma facendo attenzione che non si scurisca. Intanto pelate e tritate le mandorle, aggiungetele allo zucchero e, quando il composto avrà cessato di bollire unite i tuorli uno alla volta sempre mescolando. A questo punto togliete dal fuoco diretto e continuate la cottura a bagnomaria, sempre mescolando, preferibilmente in un recipiente di pirex, a fuoco basso per una mezzora e fino a che dal composto non scompaia la schiuma. Addizionate la buccia di limone grattugiata e togliete dal fuoco mescolando finché non si raffredda. Aggiungete le chiare montate a neve, mettete il composto nelle tazzine e spolverate di cannella.
(da www.gustoblog.it )
NDR : in aggiunta a quanto sopra si consiglia,una volta terminata la preparazione, di lasciar "riposare" il tutto al buio (magari coprendo le tazzine con un canovaccio) per un giorno.



domenica 21 marzo 2010

DELEGAZIONE DELLA COMUNITA' EBRAICA RENDE OMAGGIO ALLA MEMORIA DI ITALO PICCINI,LO STORICO CONSOLE DEI PORTUALI SCOMPARSO SABATO A LIVORNO

Una delegazione della Comunità Ebraica livornese si è recata questa mattina al Palazzo dei Portuali,dove è aperta la camera ardente di Italo Piccini, lo storico Console dei Portuali scomparso nella prima mattinata di sabato,nel pieno quindi del sabato ebraico, i funerali del quale avranno luogo lunedi.
Erano presenti il Presidente Samuel Zarrugh, il Rabbino Capo Yair Didi,la Vicepresidente Paola Bedarida ed i Consiglieri Gadi Polacco (membro anche della giunta dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,l'organo nazionale dell'ebraismo italiano),Davide Novelli e Guido Guastalla.
A ricevere la delegazione l'attuale Console Enzo Raugei,il dirigente De Filicaia ed altri: è quindi seguito un intenso incontro con Roberto Piccini, figlio dello scomparso ed attuale Presidente dell'Autorità Portuale livornese,nel corso del quale è stata rievocata la figura di Italo Piccini sia dal punto di vista umano che per gli intensi rapporti che volle e seppe mantenere a tutto campo con la città nell'espletare lo storico ruolo imprenditoriale rivestito alla guida dei Portuali.
In questo contesto profondi e continui sono stati i rapporti con la Comunità ebraica livornese ed anche il mondo economico israeliano : non a caso è prevista per domani la visita dei massimi dirigenti,significativamente di ieri e di oggi,della società israeliana di navigazione ZIM.

Livorno, 21 marzo 2010

www.livornoebraica.org

sabato 20 marzo 2010

In ricordo di Italo Piccini

Ho avuto molteplici occasioni per avere rapporti con Italo Piccini: come esponente liberale e del mondo ebraico nonche' da imprenditore portuale,sempre apprezzandone l'apertura mentale mai subordinata al ruolo rivestito od alle idee politiche.
Un vero ed acuto imprenditore,quindi, che ha avuto anche un primario ed indiscutibile ruolo politico e sociale.
Un intreccio questo assai raro che lo pone a buon diritto nella galleria della storia livornese.
Gadi Polacco

domenica 7 marzo 2010

Malafede dei professori anti-Israele


La apartheid week contro Israele che si sta concludendo in troppi campus in giro per il mondo, comprese, che peccato, le università di Firenze, Pisa, Milano (mentre la Sapienza di Roma con un bel colpo di reni ha siglato un accordo con l'Università di   Tel Aviv), è uno degli eventi più intellettualmente ripugnanti mai concepiti. E' il sesto anno che professori e allievi estremisti mobilitano gli atenei sul tema «Israele stato di apartheid»: non sono tanti, ma l'impatto delle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israle sono come il suono del campanello per ll cane di Pavlov, e la risposta allo stimolo è la criminalizzazione e la delegittimazione dello Stato ebraico. Così come il mondo distrusse l'indegno regime sudafricano di apartheid, suggerisce la settimana, altrettanto deve fare con Israele. Uno Stato accusato di discriminare per motivo etnico, razziale, rellgioso i suoi cittadini deve sparire, pensa il mondo attuale. E la «settimana» non ha nel mirino ll razzismo nei suoi tanti aspetti e latitudini: è uno Stato nella sua specificità che è preso di mira, e il velenoso paragone con il Sudafrica dell'apartheid, sparito per la pressione internazionale, suggerisce l'indegnità di Israele ad esistere. Questa costruzione è basata su due colonne: su una bufala, ovvero una serqua di bugie, e sulla disinformazione veterocomunista già affondata dalla storia. La bufala sta nel paragone con Pretoria: «Sotto la sezione 37 della spiaggia di Durban questa zona balneare è riservata ai soli membri del gruppo della razza bianca». Così si legge in inglese e in afrikaner su un cartello del tempo dell'apartheid posto su una spiaggia. Cartelli analoghi erano ovunque e diffidavano i neri, i«coloured» e anche gli asiatici da sedersi con i bianchi agli eventi sportivi, sugli autobus, sui treni, a usare le stesse toilette e gli stessi ristoranti, per non parlare degli ospedali e delle scuole. Le Chiese erano multirazziali. Molti altri cartelli con il teschio minacciavano di morte i neri che varcassero determinate barriere. Era impensabile che i bianchi e i neri condividessero le istituzioni. Tutto il contrario in Israele: ogni e qualsiasi istituzione è multietnica e multi religiosa, le teorie e le discriminazioni razziste sono proibite per legge negli ospedali le donne arabe e le ebree partoriscono letto a letto, curate da personale arabo ed ebreo; da tutto il mondo arabo vengono bambini e pazienti in genere a farsi curare, accolti amorevolmente; all'università gli studenti arabi e ebrei studiano insieme e anche professori arabi, talora molto aggressivi verso il sionismo, insegnano con gli ebrei e agli ebrei mentre sono tradotti libri arabi di ogni tipo; alla Knesset, Il Parlamento israeliano, e al governo siedono cittadini arabi che levan (sempre!) il loro dissenso, senza temere, unici arabi in medio oriente; che qualcuno li aspetti sotto casa per punirli. ll Bagaz, l'Alta Corte, è una sponda totalmente affidabile per tutti: ha appena legiferato che la strada 443, lungo la quale sono avvenuti attacchi contro automobili di ebrei, dopo una chiusura di sicurezza temporanea, venga ora riaperta per motivi di eguaglianza di fronte alla legge, a tutti i veicoli anche se il prezzo può essere la vita di famiglie solo ebree. Qualsiasi arabo, ma anche un ebreo etìope, troverà giustizia di fronte alle discriminazioni razziali se si rivolgerà all'autorità israeliana, perché la legge proibisce la discriminazione. Quelli che proclamano la settimana dell'apartheid sono in totale malafede. Quando citano il «Muro», che poi è un recinto, sanno benissimo che quella barriera ha fatto diminuire il terrorismo del 98 per cento; sanno che le difficoltà di movimento non hanno a che fare con pregiudizi  razziali, ma con evidenti motivi di sicurezza. Sanno anche che invece cristiani ed ebrei nel mondo arabo, ma non soltanto, anche le donne e gli omosessuali, sono segregati e perseguitati a morte per motivi ideologici. E adesso un briciolo di storia: l'accusa di apartheid affonda nel totalitarismo comunista. Lo storico Robert Wistrich dimostra nel suo «A lethal obsession» che dopo la guerra dei Sei giorni Mosca decise che assimilare Gerusalemme a Pretoria avrebbe distrutto la fama liberale di lsraele presso i Paesi occidentali e anche gli Stati africani che avevano fiducia in Israele. I trotzkisti (fra loro, ohimè, parecchi ebrei) divennero fra i più ferventi propagatori della mitologia sionismo eguale razzismo, che poi si trasformò in una risoluzione delle Nazioni Unite. In una parola, trasformare il sionismo in un'ideologia disumana conquistando a questo scopo gli intellettuali (il generale Jap lo suggerì personalmente a Yasser Arafat) era la strada per convincere che un Paese nato su tali disgustose premesse non può che essere smantellato. Anche la violenza terrorista, dunque, può, deve essere perdonata. E siamo sicurissimi che i generosi professori e studenti promotori della settimana dell'apartheid la perdonano, e del colpo alla nuca in Cina, dello sterminio-in Sudan, degli impiccati in Iran, delle donne segregate In tanti Paesi islamici, se ne impipano. Però sono contro l'apartheid in Israele. Che non esiste. 

Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 7 marzo 2010 (tratto da www.moked.it)

giovedì 4 marzo 2010

"Avanti così sul crocifisso", intervento di Maurizio Zingoni su "La Nazione" del 4.3.10

Caro Direttore,
se fossi cristiano non sarei francamente lieto, lo affermo senza intento
strumentale o polemico, di quello che mi pare un tentativo trasversale
di appropriazione di questo importante simbolo religioso da parte di
molti partiti.
Da liberale credo poi "semplicemente" che una società democratica debba
essere laicamente neutrale,in tema religioso,preoccupandosi di garantire
a tutte le espressioni di fede la libertà di esprimersi,naturalmente nel
rispetto delle leggi che regolano la comune convivenza civile, tutte
uguali all'occhio dello Stato come sancito dalla Costituzione.
Ciò premesso nel pezzo "Avanti così sul crocifisso" pubblicato da La
Nazione (4.3.10) e firmato da Maurizio Zingoni rilevo la totale
assenza,in verità assai poco laica,della considerazione dell'esistenza
di altre fedi ma anche di chi non crede.
La "nostra tradizione", da liberale sono allergico alle espressioni che
si arrogano il diritto di rappresentare "tutti", non può essere
ricondotta ad una fede seppur ritenuta "maggioritaria" ,per quanto non
si possano applicare alle religioni parametri "partitico-statistici",
ed appare quindi altamente illiberale voler stabilire "erga omnes" quale
simbolo religioso rappresenti la nazione : peraltro non appare questa
una priorità per uno stato,anzi.
A tradire una visione assai ristretta, penso mutuata da quelle che ormai
appaiono delle parole d'ordine ad alto livello politico,vi è infine la
tendenza ad individuare quali protagonisti di questo dibattito" laici e
cattolici" , dando quindi per scontato che tutti i credenti acattolici
siano laici (cosa peraltro assai probabile non essendo la laicità
negatrice dei valori religiosi) mentre invece non lo possono essere in
questa visione i cattolici, cosa assai opinabile.
Non vedo in corso un "attacco al crocifisso" ed agitare questo spettro
penso anche che non sia utile e rispettoso proprio nei confronti di
questo simbolo : la questione, in un'ottica da società aperta, dovrebbe
semmai essere salvaguardare il crocifisso dando uguale valore agli altri
simboli (se proprio non si vuole sposare l'idea della neutralità della
sfera pubblica) : visione però da liberale non necessariamente
condivisibile da chi liberale non è.
Cordiali saluti,
Gadi Polacco