lunedì 8 aprile 2013

Anniversario

29 Nissan 5727 - 29 Nissan 5773
RAV BRUNO GERESHON POLACCO (z.l.) 1917/5678 - 1967/5727

NOTE BIOGRAFICHE
Rav Ghereshon Bruno Polacco z.l. nacque nel 1917 a Cesenatico, dove la famiglia si era rifugiata durante la prima guerra mondiale. Rimasto orfano, fu allevato dagli zii paterni, a Venezia, a contatto con l'ambiente del ghetto lagunare, alle cui tradizioni rimase sempre legato. Dimostrata, fin dall'adolescenza, una spiccata predisposizione per gli studi rabbinici, fu avviato in tale direzione dall'allora rabbino di Venezia Adolfo Ottolenghi z.l. Terminate le scuole superiori, studiò al Collegio Rabbinico di Roma, compagno di studi di Augusto Segre z.l., allievo di maestri quali Umberto Cassuto z.l. e Dante Lattes z.l. Conseguito il titolo di maśkil, tornò a Venezia come hazzan, anche per aiutare il proprio maestro, affetto da cecità. Dopo la guerra, mentre fu tra i principali animatori del rinato Circolo Ebraico Veneziano e della Filodrammatica Ebraica Veneziana (per la quale scrisse, tra l'altro, Quarant'anni fa, Giobbe, I due shnorrers), continuò la sua attività con i rabbini Relles z.l. ed Elio Toaff, e, conseguito il titolo rabbinico sotto la guida del suo nuovo, venerato maestro Alfredo S. Toaff z.l., assunse nel 1953 la cattedra rabbinica di Ferrara. Sposatosi, passò, nel 1960, ad aiutare il proprio maestro come vice-rabbino a Livorno, dove divenne Rabbino Capo nel 1963. Molto amato per la sua umanità, seppe riprendere l'autentico minhag della comunità labronica, che lasciò in eredità ai suoi allievi. Molti e importanti i suoi studi linguistici e storici, rimasti quasi tutti inediti, spesso incompiuti per l'improvvisa, immatura morte, che lo colse a soli cinquant'anni. Morì nel 1967.

Un profilo di Rav Ghereshon Bruno Polacco, nel ricordo del Prof. Umberto Fortis

Appartenente alla generazione nata dopo la prima guerra mondiale, Rav Bruno Polacco fu personaggio poco conosciuto nel panorama culturale ebraico italiano del Novecento. Schivo e riservato, dotato di un'eccezionale umanità, che lo fece sempre amare da parte dei suoi correligionari, nelle tre comunità ove rivestì la carica di vice-rabbino o di Rabbino Capo, Venezia, Ferrara e Livorno, egli coltivò, con severo impegno scientifico, oltre agli studi talmudici, gli studi storico-filologici, con l'intento di ampliare le nostre conoscenze della storia degli ebrei d'Italia, accumulando una larga messe di saggi e ricerche, che la sua modestia volle spesso lasciare inediti. Fu la sorte, del resto, che, per ragioni simili, toccò anche ai suoi copioni teatrali, scritti per la Compagnia del Circolo Ebraico Veneziano “Cuore e Concordia”, da lui stesso messi talora in scena, e nei quali cercò di ricostruire i più tipici ambienti ebraici, dalla shtetl centro-europea al hatzer veneziano, attraverso l'abilissima creazione di figure tradizionali del mondo ashkenazita o sefardita o mediante la ricostruzione dell'antica parlata del ghetto. Sono tutti testi che meriterebbero di essere conosciuti, per la profondità e il valore della ricerca, nel primo caso, per il sapore di veridicità e l'affidabilità della rievocazione, cui la serietà dello studioso offre le migliori garanzie, nel secondo: opere che qualificano la complessa fisionomia di un intellettuale, impegnato in una pluralità di direzioni, ma che non ha avuto, fino a ora, il giusto riconoscimento che gli spetta.

Bruno Polacco nacque il 23 dicembre 1917 ( 8 teveth 5678) a Cesenatico, dove la famiglia era stata costretta a rifugiarsi in seguito alla prima guerra mondiale. Rimasto orfano di madre ed essendo il padre richiamato alle armi, fu affidato alla zia paterna, che lo allevò come un figlio. La sua educazione e la sua formazione avvennero perciò a Venezia, a contatto, soprattutto, con l'ambiente del ghetto presso San Girolamo, dove le ataviche tradizioni sapevano ancora garantire l'antica solidarietà ebraica.

Dimostrata, fin dagli anni dell'adolescenza, una spiccata propensione per gli studi rabbinici, fu avviato e favorito in tal direzione dall'allora rabbino di Venezia Adolfo Ottolenghi z.l. Furono, per Rav Polacco, anni di fattiva partecipazione alla vita comunitaria, soprattutto nei centri giovanili e presso il Circolo Ebraico Veneziano, una delle istituzioni allora più importanti della Venezia ebraica.

Terminate le scuole superiori, passò al Collegio Rabbinico a Roma, dove, compagno di studi di Augusto Segre z.l., ebbe come docenti Umberto Cassuto z.l. e Dante Lattes z.l. e dove conseguì il titolo di maskil, prima di tornare definitivamente a Venezia, per assumere la carica di hazzan e per aiutare il proprio maestro Ottolenghi, affetto, negli ultimi anni della sua vita, da cecità. Riprese, così, i contatti con il Circolo Ebraico, e, stimolato dalla presenza di una filodrammatica attiva e applaudita, tentò la via del teatro dialettale, scrivendo, nel 1939, Quarant'anni fa, commedia nella quale riuscì a ricostruire, con grande abilità, la vecchia parlata del ghetto veneziano, i cui residui aveva ascoltato, da bambino, dalla bocca degli ultimi utenti della generazione a lui precedente.

Sfuggito alle persecuzioni razziali, riassunse la carica di hazzan e di vice rabbino, prima con Rav Relles z.l., poi con Rav Elio Toaff, che gli fu sincero amico, e si prodigò per la rinascita della Filodrammatica Ebraica Veneziana per la quale produsse alcuni nuovi copioni, rimasti inediti. Dapprima furono semplici canovacci, scritti in occasione della festa di Purim, come Scherzeto de mascare o I boresi del '700; poi il disegno si fece più ambizioso e portò alla stesura di due testi di notevole spessore: Giobbe, di cui è giunto a noi solo il primo atto, e, nel 1950, I due shnorrers, tratto dalla celebre opera di Zangwill.

L'attività teatrale e l'impegno come insegnante nella rinata scuola ebraica non fecero, tuttavia, trascurare gli studi biblici e talmudici. Conseguito, pertanto, il titolo rabbinico (suo maestro, amato e venerato, era intanto divenuto Rav Alfredo S. Toaff, rabbino di Livorno), assunse, nel 1953, la sua prima cattedra come Rabbino Capo a Ferrara, dove, dopo il matrimonio con Nella Fortis, rimase per sette anni, attivo nel risollevare le sorti della comunità che fu di Isacco Lampronti, ma dedicandosi anche a ricerche storiche e archivistiche. Tra i suoi studi, rimasti anche questi inediti, va ricordato un documentato saggio su L'Università degli uomini lusitani di Ferrara e un'ampia analisi su La comunità di Ferrara e il suo Talmud Tora dalle origini a Isacco Lampronti.

Nel 1960, quando il suo maestro Alfredo S. Toaff lo volle con sé, lasciò Ferrara e si trasferì a Livorno, dove, nel 1963, assunse la carica di Rabbino Capo, amato e stimato dai suoi correligionari. Continuò ad affiancare all'attività rabbinica il suo impegno in studi linguistici e filologici, ponendo, tra l'altro, mano a un dizionario della lingua ebraica, del quale restano i lemmi delle prime due lettere, e pubblicò uno studio su Abravanello Giudeo. Numerose le altre opere alle quali stava attendendo, quando la morte lo colse immaturamente all'età di soli cinquanta anni. Era il 29 di nissan 5727.

(Tratto da: Umberto Fortis, Il ghetto in scena, Roma, Carucci, 1989, con tagli)

RAV BRUNO POLACCO (z.l.) : IL RICORDO DI RAV GIUSEPPE LARAS NEL 40° DELLA SCOMPARSA

Quando a fine estate del 1968 giunsi a Livorno per assumere il Rabbinato di quella comunità,che era stata la comunità di origine della mia famiglia paterna,era trascorso già un anno dalla scomparsa di Rav Bruno Ghereshon Polacco (z.l.).

La sua mancanza veniva avvertita nella comunità in modo indiretto e diretto : sia, cioè, in quella sorta di smarrimento, che è tipica della comunità rimasta a lungo priva di una guida religiosa, sia più esplicitamente nelle espressioni di affetto e di rimpianto che si ascoltavano da parte di molti membri della comunità.

Il mio ricordo di lui inizia a Venezia, un’estate di tanti anni fa, quando mi trovavo là per seguire non so più quale seminario.

Fungeva allora da Vice-Rabbino , detenendo il diploma rabbinico di primo grado (Maskìl) e si occupava di Hazzanut, di insegnamento e di shechità.

La Semichà Rabbinica superiore la conseguirà più tardi presso il Collegio Rabbinico Italiano di Roma, in ciò incoraggiato da Rav Alfredo S. Toaff z.l. e dal di lui figlio – sia distinto per la vita – Rav Elio Toaff.

Prima di essere insediato come Rabbino Capo a Livorno, chiamatovi dal suo predecessore e maestro nel 1960, aveva esercitato il Rabbinato per alcuni anni a Ferrara.

E’ circa intorno a quel periodo che ebbi modo di conoscerlo meglio : l’occasione fu una mia richiesta di informazioni su – così mi pare di ricordare- Jaakov Abrabanel un banchiere stabilitosi a Ferrara intorno alla metà del ‘500.

Assieme alla cordiale disponibilità, ebbi allora modo di apprezzare anche la sua competenza storica ed archivistica.

Quando penso a lui, lo rivedo con il suo sorriso arguto, a tratti un po’ scanzonato, e sempre cordiale.

“Esistono tre tipi di corone : la corona della Torah, la corona del Sacerdozio, la corona del Regno, ma la corona del buon nome è superiore a tutte” (Avoth IV, 13).

Pensando a lui, mi viene d’istinto in mente questa mishnah che in una cornice di apparente semplicità, ci impartisce una lezione preziosa : la “corona del shem-tov” cioè la buona fama di cui un individuo gode nella considerazione delle persone, nell’immaginario della gente comune, a differenza delle altre “corone” che la precedono, non comporta di per se alcuna implicazione connessa ad un kavod particolare.

Invece – ci insegna la mishnah – non solo non è così, ma il livello del shem-tov si colloca in una dimensione che , addirittura, è superiore alle altre, dato che esse, se non sono accompagnate da un comportamento eticamente ineccepibile, cessano automaticamente di comportare alcun obbligo di kavod.

Ma, parlando di shem-tov , non si può non richiamare un noto verso di Qohelet ( I,7 ) : “val meglio il (buon) nome dell’olio profumato”.

Un antico commento, per dar conto dell’accostamento fama-olio e della dichiarata superiorità di quest’ultimo, spiega che , a differenza dell’olio odoroso che, con il passar del tempo, si affievolisce sempre più fino a sfumare del tutto, il buon nome di una persona che ha in vita ben meritato, più passa il tempo, più ingigantisce e si consolida.

E’ per questo che, pur a distanza di 40 anni dalla morte, continuiamo a sentirlo vivo nel ricordo e nel rimpianto.

Rav Giuseppe Laras, Presidente Emerito della Assemblea Rabbinica Italiana e Presidente del Tribunale Rabbinico dell’Alta Italia, è stato Rabbino Capo di Ancona, carica oggi nuovamente detenuta,Livorno e Milano. Professore di Storia del pensiero ebraico all’Università Statale di Milano,studioso di filosofia medievale e conferenziere, è autore di vari apprezzati testi sul pensiero ebraico e collabora a diverse riviste di argomento religioso ebraico.

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