lunedì 18 ottobre 2010

Legge e negazionismo. L'esempio tedesco (da www.moked.it)

Narrava un illustre avvocato che nel corso di un esame universitario venne chiesto all’esaminando come mai in Italia non vi fosse una legge che riguardasse i canguri. Sorpreso lo studente rispose ricordando come da noi non vivano questi simpatici mammiferi, ma l’esaminatore integrò la sua risposta aggiungendo che proprio in conseguenza di ciò non c’era bisogno di una simile normativa. Una chiara legge sul negazionismo e l’uso di termini e simboli che si richiamino al nazismo esiste da lungo in Germania in quanto, riprendendo l’esempio dei canguri, in quel paese nacque, crebbe e drammaticamente operò espandendosi il nazismo. Non mi pare che la Germania di oggi, paese leader in Europa, sia una nazione che neghi il diritto d’opinione o che contribuisca a creare eroi o martiri: peraltro queste categorie di personaggi, molto opinabili in quanto legate fortemente ad opinioni di parte e quindi relative, nascono indipendentemente dalla presenza o meno di leggi (basti pensare al successo che riscuotono talvolta, ricevendo lettere in carcere e vedendosi manifestare ammirazione dalle pagine dei social network, individui rei di gravissimi reati come l’omicidio). L’importanza di una legge, in Italia, sulla falsariga di quella tedesca risiede pertanto, a mio parere, nel cercare di arginare attività che siano propedeutiche, se non già esse stesse lo pratichino, all’odio razziale e alla discriminazione, con conseguente danno (anche in termini morali) verso la vittima. Secondo il diritto costituzionale tedesco, inoltre, la negazione della Shoah è un “falso” che non gode conseguentemente della protezione della libertà accademica, tanto per richiamare il caso Moffa dal quale è scaturito il dibattito al quale assistiamo in questi giorni. E’ altresì indubbiamente vero che le posizioni al riguardo di simili leggi siano assai variegate in Europa ma, tornando ai canguri, in Germania come in Italia (con tanto di sceneggiata parlamentare e rispetto pedante dell’iter burocratico che una dittatura poteva tranquillamente risparmiarsi) certe teorie sono state tradotte terribilmente in pratica peraltro senza imposizioni esterne. Ma occorre anche ricordare che una decisione quadro dell’Unione Europea del 2007 invita a punire «la pubblica approvazione, negazione o il grave svilimento di genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, quando il crimine è indirizzato contro un gruppo di persone a causa della loro razza, colore della pelle, religione, discendenza o provenienza nazionale o etnica»: riserve a parte sul termine “razza” il concetto appare chiaro. Quale che sia la strada che si vorrà forse scegliere, però, pesa sul dibattito italiano l’aver rimosso per svariati decenni quello che accadde in Italia in quegli anni bui e mi domando se ancora oggi, come avveniva ai miei tempi, l’insegnamento della storia nelle nostre scuole termini misteriosamente con la Prima guerra mondiale. Se poi ci aggiungiamo l’italica propensione al “tengo famiglia” che, per fare un piccolo esempio, mette tutti d’accordo trasversalmente, politicamente parlando, circa le attività che si svolgono in quella sorta di capitale del nostalgismo che è Predappio in nome della vendita di souvenir e di lavoro per trattorie ed hotel (con tutto il rispetto per il lavoro di ciascuno), ecco che un simile dibattito potrebbe avere da noi vita dura, con buona pace delle questioni di principio.

Gadi Polacco
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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