Accesso a "EBRAISMO LIVORNESE"
venerdì 30 aprile 2010
AUGURI LIVORNESI A RAV ELIO TOAFF
Rav Elio Toaff compie oggi 95 anni e da Facebook è tratta la sintesi biografica sotto riportata. Il giorno 3 maggio 2010, a Roma, verrà presentata la fondazione che,in suo onore, si chiamerà "Fondazione Elio Toaff per la cultura ebraica".
La famiglia,sempre a Roma, lo festeggerà privatamente antecedentemente.
Nella speranza di poter avere presto questo grande livornese di nuovo in visita nella sua e nostra città, anche da questo spazio sinceri ed affettuosi auguri.
Provvederemo lunedi sera,comunque,a fargli sentire sempre vicina la sua Livorno.
Gadi Polacco
www.livornoebraica.org
(nelle foto, Rav Elio Toaff durante un intervento ed un'immagine, rielabolata a colori al computer da Gamliel Migdali,discendente israeliano della famiglia livornese Della Torre,del "suo" Tempio, ovvero la bellissima antica Sinagoga livornese)
Elio Toaff è nato a Livorno il 30 aprile 1915. Studiò presso il Collegio Rabbinico della sua città natale sotto la guida del padre, Alfredo Toaff, rabbino della città. Frequentò al tempo stesso l'Università di Pisa presso la facoltà di Giurisprudenza, dove poté laurearsi nel 1938 nei tempi stabiliti, in quanto l'introduzione delle famigerate leggi razziali fasciste, precludeva agli ebrei l'ingresso alle università ed espelleva gli studenti fuori corso, ma consentiva di completare gli studi a chi ne fosse giunto al termine. L'anno successivo completò gli studi rabbinici laureandosi in teologia al Collegio rabbinico di Livorno, ottenendo il titolo di rabbino maggiore. Fu nominato rabbino capo di Ancona, dove rimase dal 1941 al 1943.
Dopo l'8 settembre 1943, con la recrudescenza della violenza nazista e le prime deportazioni italiane per i lager, Toaff, sua moglie Lea Iarach e il loro figlio Ariel fuggirono in Versilia, alterando le generalità sui loro documenti, girovagando tra mille insidie. Più volte Toaff scampò alla morte per mano nazista, ricorrendo alla propria inventiva e a tanta fortuna. Entrò nella Resistenza combattendo sui monti e vedendo con i propri occhi le atrocità ai danni di civili inermi.
Dopo la guerra fu rabbino di Venezia, dal 1946 al 1951, insegnando anche lingua e lettere ebraiche presso l’Università di Ca' Foscari.
Nel 1951 divenne rabbino capo di Roma. Oltre al suo ruolo spirituale, ha ricoperto diverse cariche nella comunità ebraica italiana: presidente della Consulta rabbinica italiana per molti anni, direttore del Collegio rabbinico italiano e dell'istituto superiore di studi ebraici, direttore dell'Annuario di Studi Ebraici. Inoltre è membro dell'Esecutivo della Conferenza dei rabbini europei fin dalla fondazione nel 1957 e dal 1988 è entrato a far parte del Praesidium.
Nel 1987, Toaff pubblicò una sua autobiografia: Perfidi giudei, fratelli maggiori (Mondadori, Milano).
L'8 ottobre 2001 Elio Toaff, all'età di 86 anni, annunciò le proprie dimissioni dalla carica di Rabbino Capo di Roma. Questa decisione venne manifestata da Toaff stesso nella Sinagoga di Roma al termine delle preghiere per il «Oshannà Rabbat». Il motivo era voler lasciare spazio e occasioni ai giovani. Grande fu la commozione tra i fedeli che erano in ascolto. Il successore alla carica venne scelto in Riccardo Di Segni.
Nel 2005 Elio Toaff è stato proposto alla carica di senatore a vita.
(dalla pagina Facebook di Cely Di Neris)
domenica 25 aprile 2010
Dopo Cantalamessa, De Rosa, Babini ed altre nervose "esternazioni" sul mondo ebraico (ma non solo su questo) di esponenti della Chiesa...
Qualcosa di più di una caduta di stile
La recente disavventura di padre Raniero Cantalamessa, noto e apprezzato predicatore cattolico che, dinanzi al Papa, ha associato gli attacchi mediatici contro la Chiesa cattolica nel merito della questione della pedofilia all’antisemitismo nazista, invita a qualche riflessione di merito. La pur relativa modestia dell’evento demanda ad un clima di disorientamento che pare lambire da tempo alcuni segmenti del mondo cattolico. Ragioniamo pacatamente su due ordini di riflessioni, evitando di fare barricate. Il primo rimanda all’immagine che il cattolicesimo sembra avere fatto propria del micro-universo ebraico. Il secondo, invece, rinvia al sofferto rapporto che la Chiesa di Roma rivela di intrattenere con aspetti della modernità. Primo passaggio, dunque. L’ebraismo ha conosciuto, a partire dal Concilio giovanneo, una riconsiderazione che non ha precedenti nella storia delle relazioni intrattenute tra le due religioni. Si è trattato di un percorso evolutivo che si è consolidato e sedimentato sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II ma che ha visto coinvolti tutti i pontefici del secolo appena trascorso. Benedetto XVI, per parte sua, si è fatto garante della continuità di tale indirizzo. Da figli minori si è assurti allo stato di «fratelli maggiori». Tale evoluzione, tuttavia, soprattutto se rapportata ai suoi tanti effetti e alle infinite ricadute, non sempre è stata contraddistinta da una altrettanto chiara capacità di gestire il nuovo rapporto, costruito nel corso di questi ultimi quarant’anni, con gli ebrei. I quali rimangono, per una parte del mondo cattolico, un oggetto e non un soggetto, una entità indistinta e indistinguibile e non ancora dei compagni di viaggio la cui natura è intrinsecamente pluralista. Verso qualcosa che ci è estraneo si possono nutrire molti sentimenti, non da ultima anche una irrisolta identificazione, basata tuttavia su passioni tanto accese quanto assai poco commisurate alla materiale realtà di cui sono fatti gli interlocutori. Se dell’ebraismo come religione il cattolicesimo sembra avere colto le tante peculiarità non la stessa cosa può essere detta quando questo è declinato nei termini di una concreta comunità umana. La quale rimane, agli occhi di un certo cattolicesimo, qualcosa di distante, ovvero di astratto. Ancora una volta alla concretezza dei rapporti si sostituisce la fruizione di immagini e rappresentazioni. Gli ebrei, nel Novecento, sono stati tanto rappresentati quanto ben poco conosciuti. Il rilievo che lo sterminio nazista ha assunto nella definizione di ciò che è ebraico sembra ora essere divenuto una sorta di filtro, attraverso il quale fare passare ogni relazione con gli ebrei. L’assunto neanche troppo implicito, elemento di per sé di grave distorsione, è che questi vadano fatti oggetto di particolari attenzioni in quanto vittime per definizione. Si tratta di un luogo comune diffuso e pericoloso. Se si è amati poiché vittime, e ne è esempio il merito del rimando di Cantalamessa alla lettera dell’«amico ebreo», non ci si potrà emancipare da tale scomoda condizione se non a costo di decadere dal ruolo di oggetto dell’altrui considerazione. Riscontro di ciò ci è offerto dalla severità con la quale ogni gesto dello Stato d’Israele è oggi vagliato, non essendo quella una storia ascrivibile ad una qualche forma di vittimofilia. Nel mondo cattolico a volte si verifica un fenomeno di identificazione per traslazione, laddove agli ebrei contemporanei è attribuita una sorta di funzione martirologica. Ma per l’ebraismo la Shoah non ha alcun significato testimoniale, trattandosi, letteralmente, di una «catastrofe» umana. Nulla di meno, nulla di più. Gli ebrei non sono testimoni del male; semmai ne sono stati tra i destinatari. La sofferenza non costruisce identità. Stabilire un legame privilegiato sulla scorta di questa peculiarità implica invece il falsare aprioristicamente il rapporto, distorcendo, sia pure in virtù di un “pregiudizio positivo”, la fisionomia del proprio interlocutore. Il secondo punto ha invece a che fare con il legame che è intrattenuto con ciò che chiamiamo «modernità». Elemento di inquietudine, a tale riguardo, è stata la denuncia, ripetuta a più riprese da una parte della stampa vicina al mondo cattolico, di un «complotto», ordito da «poteri forti», che si starebbe consumando contro l’attuale pontificato. C’è qui un’ansia sottesa, che rimanda alla incomprensibilità del presente e al suo bisogno di semplificarlo con chiavi di lettura ai limiti della banalizzazione. Non a caso tale polemica ha ad obiettivo gli Stati Uniti, intesi come una terra tendenzialmente ostile, secolarizzata poiché “relativista”, laddove l’equivalenza tra i convincimenti e le fedi condurrebbe alla perdita del senso dell’umano. A ciò si coniuga l’evocazione di una dimensione occulta, dove non meglio precisate «forze» starebbe tramando dietro le quinte contro il presidio morale di Roma. La qual cosa non ci riguarderebbe se non richiamasse, sia pure involontariamente, vecchi fantasmi mai venuti meno. Lo si evince meglio quando si coniuga tale enfasi alle parole del vescovo di Cerreto Sannita, monsignor Michele De Rosa, membro della Commissione CEI per l’ecumenismo e il dialogo, il quale, ha definito gli ebrei «permalosi», contestando in tal modo una sorta di gelosa difesa delle proprie prerogative e di permanente indisponibilità verso le offerte altrui. Si tratta di una reazione a fil di pelle, anch’essa da non enfatizzare, ma che rivela il modo in cui il rapporto con gli ebrei è intrattenuto da alcuni esponenti delle gerarchie, laddove il tutto viene rafforzato dall’affermazione per cui «capisco che abbiano sofferto con l’Olocausto, ma non possono farne una bandiera». Il rischio, neanche troppo implicito, è in questo caso che antichi convincimenti riprendano forza. Poiché nella tradizione antisemita l’ebreo è visto come, al contempo, uno e tutto: uno, poiché impermeabile; tutto, perché intenzionato a controllare il mondo attraverso trame clandestine. La modernità, per una parte del pensiero tradizionalista, rimanda a questo gioco delle parti, dove il ruolo dell’«ebreo» è definito una volta per sempre, nella sua proverbiale insaziabilità. Ci è chiaro che non c’erano necessariamente intenzioni di tal genere dietro questi recenti pronunciamenti e tuttavia questi si inscrivono in un registro culturale che si alimenta anche di queste implicite suggestioni. Ragion per cui il chiedere conto delle altrui motivazioni non corrisponde all’esercizio di una facoltà di giudizio permanente, derivante dall’essere stati vittime, ma al bisogno di evitare che da esse si rigeneri un pregiudizio per cui si rischierebbe di esserlo ancora.
Claudio Vercelli
25 Aprile 2010 a Livorno, presente anche lo striscione della Brigata Ebraica
celebrazioni del 25 Aprile 2010, la Brigata Ebraica (alcune foto)
venerdì 23 aprile 2010
25 aprile 2010 - Ricordare la Liberazione anche tramite il contributo della "Brigata Ebraica"
COMUNITANDO
www.livornoebraica.org
(a cura di Gadi Polacco)
25 APRILE 2010 - RICORDARE LA LIBERAZIONE ANCHE TRAMITE IL CONTRIBUTO DELLA "BRIGATA EBRAICA"
Alle manifestazioni livornesi per il 65° della Liberazione, come avverrà anche in altre parti d'Italia, sarà nuovamente presente lo striscione in ricordo della BRIGATA EBRAICA che operò in Italia contribuendo a liberarla.
Accanto alle corone di alloro che tradizionalmente la Comunità Ebraica livornese appone, vi sarà quindi un ulteriore momento di ricordo per questi soldati che contribuirono al ristabilimento di un'Italia libera e democratica,pagando un notevole tributo di sangue,e costituirono poi la base dell'esercito della nuova democrazia,ad oggi l'unica veramente tale nell'area mediorientale,sorta nel 1948 con lo Stato d'Israele.
I Caduti della Brigata Ebraica riposano nel Cimitero Militare di Piangipane (Ravenna) dove si tiene ogni anno anche una commemorazione religiosa : l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sarà particolarmente presente a Piangipane,per questo 65° anniversario,alla cerimonia officiata dal Rabbino Luciano Meir Caro che si terrà ai primi di maggio.
Gadi Polacco
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
(Nella foto , risalente agli anni '50, il Rabbino Bruno G. Polacco , allora Rabbino Capo di Ferrara e che in seguito assumerà analoga carica a Livorno, celebra una commemorazione religiosa al Cimitero Militare di Piangipane)
LA BRIGATA EBRAICA (dal sito dell'ANPI di Ravenna)
"...sul finire del 1944 il rallentamento delle operazioni militari alleate rinvigorì i tedeschi ed i fascisti. Frequenti furono i rastrellamenti di uomini da mandare al lavoro nelle industrie mentre, con numerosi bandi precetto. Il Ministro della difesa della Repubblica di Salò, Rodolfo Graziani, minacciava la pena di morte per i disertori ed i ribelli armati. Le azioni antipartigiane presero di mira ripetutamente le valli piemontesi, l’Oltrepo pavese, la Liguria e l’Emilia Romagna: tra le numerose vittime cadevano anche molti partigiani ebrei, tra cui il “più giovane partigiano d’Italia”, Franco Cesana, morto a soli 13 anni, il 14 settembre 1944, sull’Appennino modenese quando operava come staffetta presso la formazione “Scarabello” della divisione “Garibaldi”. In quei giorni entrava in azione un nuovo gruppo impegnato nella Resistenza: la “Brigata Ebraica”.
Nell’inverno del 1944, il governo inglese, dopo moltissime esitazioni, autorizzava la formazione di una brigata di 5000 ebrei volontari da inviare in Europa per combattere contro i nazi-fascisti. La brigata combatté con coraggio sotto la propria bandiera (bianca ed azzurra con la stella di David azzurra al centro); quella stessa bandiera che, il 14 maggio 1948, diventerà la bandiera dello Stato di Israele. La “Brigata Ebraica” era composta di soli volontari: circa il 20% provenienti dalla Palestina, il rimanente dal resto del mondo (soprattutto dalle grandi comunità ebraiche polacche e russe). Dal punto di vista militare la brigata era composta da un battaglione di fanteria corazzata. Dopo la costituzione ed un breve periodo di addestramento in Egitto, l’unità fu fatta sbarcare nell’Italia del sud e risalì la penisola lungo il versante adriatico.
La “Brigata Ebraica” contribuì a liberare gran parte dell’Emilia Romagna dai nazi-fascisti; in modo particolare fu impegnata in furiosi e sanguinosi combattimenti in terra di Romagna, lungo la zona d’operazione corrispondente allo sfondamento della “Linea Gotica” nella valle del Senio, nei pressi di Imola. In quella battaglia, la “Brigata Ebraica” portò a termine uno dei pochi assalti frontali, a baionetta sguainata, di tutto il fronte italiano. Molti storici sostengono che quella battaglia fu la più sanguinosa di tutta la campagna d’Italia; la “Brigata Ebraica”, composta da soli volontari, con formazione prevalentemente non militare, registrò numerose perdite. A commemorare tutti coloro che diedero la propria vita per liberare questa parte della nostra Patria, è stata posta una lapide presso il cimitero militare di Piangipane. In Piazza Garibaldi a Ravenna una lapide di marmo (posta il 15 maggio 1995 nel 50° anniversario della Resistenza e Liberazione) ricorda gli ebrei assassinati dai nazi-fascisti residenti, rastrellati e catturati nella provincia di Ravenna ed i 45 giovani volontari della Brigata Ebraica caduti nella terra di Romagna per la Libertà.
La “Brigata Ebraica” partecipò alla liberazione delle principali città romagnole: Ravenna, Faenza, Russi, Cotignola, Alfonsine ed Imola. Nel 1945, nello schieramento delle truppe alleate a sud del fiume Senio, la “Brigata Ebraica” combatté insieme ai gruppi di combattimento “Friuli” e “Cremona”. Al termine delle ostilità belliche, nel maggio del 1945, la “Brigata Ebraica” ricevette l’ordine di trasferirsi a Tarvisio, punto strategico per la fuga dei sopravissuti ebrei europei alla barbarie nazi-fascista. Contemporaneamente, i membri più attivi della brigata furono inviati in tutte le nazioni europee per aiutare le popolazioni ebraiche a ritornare a vivere, in modo particolare furono impegnati nell’opera di assistenza agli orfani ed agli ebrei che scelsero di andare a vivere in Israele....."
lunedì 19 aprile 2010
Come direbbe Totò, favorevoli ad Israele "a prescindere" !
Ricordo per i Caduti e dell'anniversario dell'indipendenza d'Israele,
Moni Ovadia avrebbe stigmatizzato il principale pregiudizio degli'
ebrei, ovvero l'accusa di antisemitismo verso chiunque "osi criticare"
la politica di Israele "qualunque sia il governo e qualunque cosa
faccia", insomma per dirla alla Totò ebrei favorevoli ad Israele "a
prescindere".
La sintesi di agenzia potrebbe indurre in inganno ma se il "qualunque
cosa faccia" è chiaramente un'assurda ed esasperata ipotesi (applicata
alle umane cose) accompagnata peraltro da un'affermazione assoluta non
condivisibile ,il "qualunque sia il governo" potrebbe riportarci ad
abitudini praticate effettivamente anche in campo ebraico da taluni,oggi
fortunatamente direi in netta minoranza, che calibrano il proprio
sentimento verso Israele a seconda delle simpatie provate verso il
governo di turno, per quantodemocraticamente eletto.
Se così fosse,mi colloco modestamente e senza remore tra quelli che
appoggiano le ragioni ed i diritti d'Israele "a prescindere"
Gadi Polacco
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
lunedì 12 aprile 2010
Reazioni del mondo ebraico italiano all'affaire Babini.....
"Ridicola successione di dichiarazioni e di smentite"
"La più bieca propaganda antisemita", così il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, definisce le presunte dichiarazioni del Vescovo Emerito di Grosseto monsignor Babini. "Stiamo assistendo a una ridicola successione di dichiarazioni e di successive smentite che non è più tollerabile. Si rischia di perdere la pazienza", ha affermato dal canto suo il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Ma Gattegna ha voluto anche sottolineare e ricordare che tali affermazioni "non sono in linea con le tradizionali posizioni della chiesa cattolica di rispetto e amicizia con il popolo ebraico". "Nel prendere atto della successiva smentita, le Comunità ebraiche si augurano - spiega ancora Gattegna - che le gerarchie ecclesiastiche e gli organismi rappresentativi dell'episcopato italiano vogliano fare chiarezza sull'episodio, sulla confusione mediatica che ne è derivata e sulle eventuali responsabilità". Di dichiarazioni "gravi, insulse e offensive dell'intelligenza umana" ha invece parlato il Consigliere Ucei Gadi Polacco definendo l'accaduto "uno scivolone concettuale e di pessimo gusto che cade neanche a farlo apposta, alla vigilia delle celebrazioni del Giorno della Shoà”. “Appare però in giornata la smentita di Babini - dice ancora il Consigliere - alla quale segue invece la conferma del sito Pontifex che dichiara di avere anche i nastri delle dichiarazioni e a questo punto - invita a riflettere Polacco - chi è che complotta veramente?". "Se lo scopo è quello di distrarre l'opinione pubblica dalle responsabilità di alcuni e isolati casi di presunta pedofilia, cavalcando gli stereotipi più retrivi dell'antisemitismo cattolico preconciliare - ha spiegato invece Pacifici - auspichiamo oggi più che mai lo spirito che ha accompagnato, con forte emozione, la visita di Benedetto XVI in sinagoga. Una visita che riteniamo utile alla società civile tutta nello spirito del dialogo e del confronto fra 'fratelli'". Il presidente della Comunità Ebraica romana ha poi ringraziato il portavoce della sala stampa vaticana, padre Lombardi, per "lo sforzo profuso in queste settimane nel ricucire questi constanti strappi e che ci fa guardare al futuro con ottimismo. Ci appelliamo però ai vescovi italiani tutti a una presa di posizione inequivocabile che chiarisca quale è il loro pensiero e la loro considerazione del mondo ebraico al di là della tormentosa e complicata vicenda che sta vivendo il vaticano a causa delle accuse di queste settimane".
domenica 11 aprile 2010
Ma insomma allora chi è che complotta ? Mons. Babini smentisce,ma Pontifex conferma....
Shalom: la CEI si arrende agli Ebrei (da www.pontifex.roma.it) |
Lunedì 12 Aprile 2010 00:00 |
Ormai é una abitudine. Pensiamo di mettere, davanti alle interviste di uomini di chiesa le smemtite, una dichiarazione precotta. Ma questa volta si é superato il limite. Dunque, é bastato uno starnuto degli ebrei di america ed ecco la smentita, che poi non é della Cei per Monsignor Babini al quale va la nostra stima. Ma per rinfrescare la memoria alla Cei e agli ebrei, ricordiamo che nel 27 gennaio in intervista mai smentita lo stesso Babini diceva: "Gli ebrei usano la shoa come una clava". Poi il 25 gennaio: "Gli ebrei non sono più i nostri fratelli maggiori, lo sono stati sino all'antico testamento e all' arrivo di Cristo, hanno poi hanno scelto di non essere i nostri fratelli maggiori". Siamo certi che il buon Babini si sia preso dalla Cei una bella tirata di orecchie. Ma come don Abbondio uno se il coraggio non lo ha non se lo può dare. Vuole dire che presto metteremo on line il testo registrato della intervista, ma questo potrebbe ... ... pregiudicare la privacy di alcune persone. Ora una domanda: mentire, specie per un prete, é violazione di un comandamento, come la violazione del seto. Che differenza ci sta dal punto di vista etico tra un prete che mente ed uno che bazzica minorenni? Queste cose fanno male alla Chiesa e alla sua credibilità, meglio allora la coerenza dei lefebvriani. Prendiamo atto con piacere che ora per Babini sono diventati i Fratelli Maggiori, il 25 gennaio non lo erano. Shalom, la Cei si arrende agli ebrei. Finirà in Tribunale? Noi attendiamo e con i nastri: la pazienza si é esaurita. Bruno Volpe
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Deliranti dichiarazioni del Vescovo Emerito di Grosseto, Babini
Uno scivolone concettuale e di pessimo gusto che cade,neanche a farlo apposta,alla vigilia delle celebrazioni del Giorno della Shoa'.
Gadi Polacco
Consigliere dell'Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane
mercoledì 7 aprile 2010
Paragoni inopportuni da parte di esponenti della Chiesa rischiano di creare pericolosi e fuorvianti paralleli storici
COMUNICATO STAMPA
La posizione tradizionale dell’ebraismo italiano nei rapporti con le altre fedi religiose rimane quella del reciproco rispetto e della pari dignità, accompagnati dall’impegno di non intervenire e non interferire nelle questioni interne che non possono che riguardare direttamente i fedeli di ogni singola religione.
Gli eventuali silenzi delle gerarchie ecclesiastiche sui comportamenti di taluni rappresentanti del clero sono un problema interno al mondo cattolico, la cui soluzione non riguarda quindi in alcun modo il mondo ebraico, né gli organismi che lo rappresentano in Italia. Le opinioni espresse da singoli, a qualsiasi religione appartengano, sono e rimangono legittime opinioni personali.
Alcuni interventi e alcuni paragoni inappropriati e inopportuni, che preoccupano ancor più in quanto provenienti da autorevoli esponenti della Chiesa cattolica, rischiano di creare pericolosi e fuorvianti paralleli storici.
Alle comunità ebraiche, e non solo italiane, sta a cuore che il complesso dialogo con il mondo cattolico continui sul piano culturale, religioso e politico, e si sviluppi in un clima di collaborazione e di confronto costruttivo che certe dichiarazioni possono solo rendere più difficile.
Presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane
Roma, 7 aprile 2010
sabato 3 aprile 2010
Secondo il Vescovo De Rosa gli ebrei sono "permalosi"...
"...Capisco che abbiano sofferto con l'olocausto, ma non possono farne una bandiera...", è un'altra "perla" del De Rosa pensiero.
Il Vescovo De Rosa è membro della Commissione CEI per l'ecumenismo e il dialogo e, a parte lo stress che pare aver accumulato,mi conferma ancora una volta la saggezza di un detto americano che spesso mi viene ricordato : "con amici così, chi ha bisogno di nemici?!".
Gadi Polacco
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
03-04-10 | |
PEDOFILIA: MONS.DE ROSA, CANTALAMESSA? GLI EBREI SONO SEMPRE PERMALOSI. | |
(ASCA) - Roma, 3 apr - ''Di questi tempi ho l'impressione che questi ebrei siano sempre cosi' permalosi, che subito si impennano, stanno sempre chiusi come ricci. Padre Cantalamessa ha solo letto la lettera di un amico ebreo, che ha espresso il parere che nei sintomi gli attacchi al papa e l'antisemitismo possano rassomigliarsi. E invece, qualsiasi cosa accada, subito si accusa la Chiesa'': respinge 'in toto' al mittente le polemiche per le parole del predicatore del papa, mons. Michele De Rosa, vescovo di Cerreto Sannita e membro della Commissione Cei per l'ecumenismo e il dialogo. |