martedì 5 maggio 2009

TESTAMENTO BIOLOGICO : LA VISIONE EBRAICA

Giovedi 7 maggio a Livorno e a Roma (casuale ma significativa concomitanza) si dibatterà di testamento biologico e temi correlati : a Livorno organizza l'incontro il gruppo dei Giovani Democratici di Livorno i quali, mostrando apertura di vedute,hanno espresso interesse per le varie posizioni circa questo delicato argomento. A Roma a patrocinare la serata è invece la Consulta Ebraica e,tra gli ospiti, vi è il Rabbino Capo della capitale Riccardo Di Segni, peraltro anche medico.
Quale piccolo contributo al tema pubblichiamo, tratto dal sito della Comunità Ebraica di Bologna, l'intervento che il Rabbino Capo di quella città, dr. Alberto Sermoneta, tenne nel 2007.

Gadi Polacco

P.S. Peccato essere altrove quel giorno.

Il testamento biologico secondo la Halakhà PDF Stampa E-mail
Relazione di Rav Alberto Sermoneta

Convegno Associazione Medici Ebrei
Bologna, 18 Novembre 2007 (8 Kislev 5768)

E creò il Signore Iddio l’uomo polvere dalla terra[1]
AFAR MIN HA ADAMA’” “Polvere dalla terra
 
Vorrei iniziare questa mia relazione citando un passo del Talmud di Gerusalemme,[2]: Ha detto Rabbi Judan figlio di Pazì: “(Il Santo Benedetto Egli sia) riempì un cucchiaio di polvere, prendendolo dal luogo dell’Altare e creò con esso l’uomo, poiché è scritto “e creò il Signore Iddio, l’uomo polvere della terra (adamà)”  ed è scritto pure: “un Altare di terra (adamà) farai per Me[3]”;  Dato che, quando si tratta dell’Altare è detto Adamà, anche per l’uomo è detto Adamà, si deduce che, se l’Altare è considerato sacro, in quanto era il luogo dove, nel Santuario di Gerusalemme  si offrivano i sacrifici, anche il corpo dell’uomo è considerato sacro.
 
E’ risaputo che nella concezione sia della Torà sia dell’Halakhà (il diritto rabbinico) l’importanza della sacralità del corpo è pari a quella dell’anima.
Sostengono alcuni Maestri di Israele che il GUF (corpo) è un abito che Dio ha creato su misura per l’anima e che ci ha consegnato per poterlo gestire per tutta la nostra esistenza.
 
Così come fin dalla nascita ci è stato concesso un corpo integro, ogni essere umano ha il dovere sacrosanto di mantenerlo integro fino al momento della morte.
La Halakhà prevede persino che nel caso in cui sia stato amputato un arto, quello stesso  dovrà essere seppellito in seguito con il resto del corpo.
I Maestri della Kabbalà (la mistica ebraica) sono ancora più rigorosi, aggiungendo che persino i capelli e le unghie delle mani e dei piedi, che una persona taglia durante la propria vita dovranno essere conservati e poi seppelliti con il corpo.
 
Per questo motivo ognuno ha il dovere di fare in modo di mantenere il proprio corpo nel migliore dei modi, ciò che nel diritto ebraico è conosciuto con appellativo di “Shemirat Ha Guf “– “ conservazione - preservazione del corpo”.
 
Obbligo di salvare una vita
 
Come si ha il dovere di preservare il nostro corpo da ogni forma di sofferenza si ha anche il dovere di aiutare il prossimo e salvarlo da pericoli e malattie.
Nel libro del Levitico,[4] troviamo l’imperativo “ LO TA’AMOD AL DAM RE’EKHA” “Non startene immobile sul sangue del tuo amico” Cioè ognuno ha il dovere di fare il possibile per salvare la vita del prossimo.
 
Sostengono gli esegeti che se un uomo sta annegando, e casualmente un altro si trova a passare, quest’ultimo ha il dovere di salvare quella vita. Il valore della vita umana è tanto importante che i nostri Maestri prevedono che, in caso di pericolo, pur di salvarla è persino permesso di profanare lo Shabbat.
Nel trattato talmudico di Jomà [5] è detto: “se avviene un crollo di Shabbat e c’è il rischio che sotto le sue macerie vi sia un uomo, nonostante non si abbia la certezza se sia ancora in vita, è permesso di profanare lo Shabbat  per cercare il corpo”. La regola di “salvare una vita” vale per ciascun uomo, ancora di più per coloro che, per professione, sono preposti a farlo.
 
Nello Shulkan Aruch (codice di normativa ebraica) Joreh De’ah [6] è detto: “la Torà ha dato il permesso ad un medico di guarire e ciò è un dovere; generalmente ciò avviene per preservare una vita.
Se egli si rifiuta è considerato un OMICIDA, persino se vi è vicino a lui qualcun’ altro che possa curarlo.
 
Poiché l’uomo non può essere curato da ogni medico indistintamente, ed un medico ha la potenzialità di curare e guarire quei malati che gli vengono destinati dall’Alto, il medico è quindi considerato un incaricato divino alla cura e alla guarigione del malato.
 
Il valore della vita è infinito, assoluto, senza distinzioni e relativismi. Ogni parte del corpo è sacra come tutto il corpo.
Il Maimonide (rabbino e medico spagnolo  del 1200) nella sua opera  MISHNE’ TORA’ nel trattato “regole riguardo l’omicidio e la conservazione del corpo[7]” sostiene: un uomo che uccide un uomo sano o un malato sul punto di morte, persino se uccide un agonizzante è passabile di omicidio.
Lo Shulkan Aruch Joreh De’ah [8] dice: “l’agonizzante è considerato vivo a tutti gli effetti – non si legano le sue guance non lo si unge, non lo si lava, non si tappano i suoi orifizi, non si toglie il cuscino da sotto la sua testa, non lo si pone in terra e non gli si chiudono gli occhi”.
 
Chiunque si comporti così, provocandone la morte è considerato colpevole d’omicidio. Tuttavia per quanto riguarda l’agonizzante con gravi sofferenze, non ci si ostina con cure che possono allungarne la sofferenza. 
Nel Talmud babilonese, trattato Ketubot[9] è narrato che Rabbi Jehudà ha Nassì (uno dei più importanti Maestri del Talmud) si trovava sul punto di morte e i suoi discepoli indissero un digiuno, passando il tempo in preghiera al suo capezzale chiedendo a Dio di farlo guarire.
La stessa cosa fu fatta dagli Angeli celesti, i quali però pregavano Dio perché l’anima di R. Jeudà li raggiungesse. Si venne così a creare una sorta di contesa dell’anima del Maestro, tanto da aumentarne la sua sofferenza.
Una sua serva che si accorse di ciò prese un’anfora di coccio, salì sul tetto della casa e lo scaraventò a terra. Il frastuono, provocato dalla caduta dell’anfora, distolse i discepoli dalla preghiera e in quel preciso momento R. Jeudà morì e la sua anima ascese in cielo.
 
Questo brano talmudico insegna che è tanto cara la vita di una persona, quanto in alcuni casi è doveroso porre un  limite ad essa.
Nel linguaggio medico moderno, questo va sotto il nome di “accanimento terapeutico” il quale, in un certo senso crea la mancanza di rispetto nei confronti del malato e lo priva di dignità. nello stesso modo è proibito pregare per la morte propria o altrui, ma è invece permesso pregare per la fine delle proprie sofferenze. Esempi biblici o talmudici: Elia [10]Yonà[11] Chonì[12] 
Vi sono anche esempi di preghiere per la fine delle sofferenze altrui.
 
Il testamento biologico
 
Se il corpo è considerato sacro durante la vita, altrettanta attenzione  è giusta e doverosa nei momenti immediatamente precedenti la morte e in quelli immediatamente successivi.
 
E’ pertanto doveroso rispettare la volontà dell’individuo, “testamento biologico” nei limiti consentiti dalla halakhà e cioè fintanto che le volontà dell’individuo non contrastino o addirittura violino la normativa ebraica.
Come avviene normalmente che un uomo affidi le proprie ricchezze ad una persona che gliele tuteli, rispettandone le volontà, così potrebbe avvenire anche a proposito del proprio corpo, nel momento in cui egli divenga incapace d’intendere e volere. Non c’è dubbio però che ciò potrebbe creare dei problemi nel caso in cui l’affidatario del testamento non fosse una persona degna di garanzia. Affidare il proprio corpo in mano a qualcuno non degno potrebbe generare serie problematiche.
 
Una Commissione di rabbini ortodossi americani per poter far fronte alle leggi che riconoscono e tutelano il testamento biologico hanno previsto che un uomo possa sottoscrivere un documento dove esprime le proprie volontà, che siano in linea con i principi della Halakhà e quindi affidare il tutto ad un rabbino di propria fiducia, che gli garantisca la conservazione la tutela e l’attuazione quando diverrà necessario.

[1] Gen., cap. 2 v. 7
[2] Talmud di Gerusalemme, Nazir, cap. 7, halakhà 2.
[3] Es., cap. 20, v. 24
[4] Lev., cap. 19, v. 16
[5] Jomà pag. 85 a.
[6] Shulkan Aruch, Joreh De’ Ah, cap. 336 par.1°.
[7] Maimonide, Mishnè Torà,cap. 2, reg. 7.
[8] Cfr. Shulkan…op.cit… cap. 339 par.1°.
[9] Talmud Babilonese, trat. Ketubot, 104 a.
[10] 1° Re 19 v. 4
[11] Yonà 4 v. 3
[12] Talmud Babilonese, Ta’Aanit, 23-a

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