giovedì 10 luglio 2008

IL PRESIDENTE DELL'UNIONE DELLE COMUNITA' EBRAICHE ITALIANE, AVVOCATO RENZO GATTEGNA,INTERVIENE AL MEETING DI SAN ROSSORE SUL RAZZISMO

(NELLA FOTO,A DESTRA RENZO GATTEGNA,INSIEME AL CONSIGLIERE NAZIONALE UCEI, GADI POLACCO)

Contro ogni razzismo,
valorizzare differenze e diversità

Intervenendo al meeting internazionale di San Rossore dedicato ai grandi
temi e alle sfide della globalizzazione e quest'anno in particolare
intitolato "Contro ogni razzismo, capire le differenze, valorizzare le
diversità", il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna ha dichiarato:

Sappiamo bene che i temi prescelti per l'appuntamento annuale di San
Rossore sono sempre di grande importanza.
Ma quest'anno in particolare voglio esprimere tutto il mio apprezzamento
per l'argomento scelto, che è di estremo interesse e di grande
attualità.
E' una scelta giusta e coraggiosa, e gli autorevoli relatori presenti ci
aiuteranno ad esaminarne e approfondirne i più diversi aspetti.

Alla discussione su questo tema noi ebrei possiamo portare il contributo
della nostra storia e della nostra esperienza.
Noi che spesso siamo stati identificati come il simbolo della diversità e
siamo stati vittime del pregiudizio e del razzismo, dopo secoli di alterne
vicende, siamo oggi integrati in Italia. Integrati senza perdere la nostra
cultura, le nostre tradizioni e i nostri specifici valori.

Come rappresentante degli ebrei italiani provo emozione e, nello stesso
tempo, orgoglio nel portare il saluto ad un convegno sul razzismo che si
svolge proprio qui, nella tenuta di San Rossore che oggi appartiene alla
Repubblica italiana, ma che ieri era la tenuta del Re d'Italia. Di quel
Re, Vittorio Emanuele III, che proprio 70 anni fa, il 5 settembre 1938,
mise la sua firma, insieme a Mussolini, al regio decreto n. 1390. Con
indifferenza, forse con noncuranza e certamente con cinismo ha contribuito
all'immane tragedia che ne seguì.

Le leggi, dette "razziali", in realtà razziste del 1938 furono l'inizio di
una persecuzione che investì tutti gli aspetti della vita sia pubblica che
privata degli ebrei. In particolare quel decreto 1390, firmato qui a San
Rossore, vietava ai ragazzi ebrei di frequentare tutte le scuole pubbliche
del Regno d'Italia.

Quante considerazioni possiamo fare riflettendo su quelle leggi infami!
Per questo oggi siamo qui a San Rossore, per riaffermare con forza che le
discriminazioni e le umiliazioni non devono più colpire nessuna donna,
nessun uomo, nessun bambino.

In settanta anni la condizione degli ebrei italiani, ha compiuto progressi
enormi.
Settanta anni fa le leggi razziali segnarono la vita dei nostri genitori,
dal punto di vista politico, culturale, economico, sociale, morale,
psicologico. Ma segnarono anche la vita di tutta la Nazione italiana.
Solo pochi ebbero il coraggio di opporvisi e lo fecero correndo gravi
rischi, e a volte perdendo la vita, ma furono loro, quasi sempre gente
semplice, che salvò la dignità dell'Italia.
La grande maggioranza degli italiani le appoggiò, le subì o le ignorò.
Con quelle leggi il Paese ha commise un grave atto di ingiustizia e
contemporaneamente perse il contributo di cultura e di civiltà che la
comunità ebraica aveva sempre dato alla società italiana.
Oggi che la Costituzione garantisce le libertà e i diritti di tutti,
ripensiamo spesso a quella nostra esperienza, soprattutto quando le notizie
della cronaca e della politica ci ripropongono temi come il razzismo, la
diversità, gli stranieri immigrati.

In questi giorni assistiamo e partecipiamo ad un vivace dibattito nel quale
si confrontano da una parte i sostenitori di maggiore sicurezza e,
dall'altra, i difensori dei diritti fondamentali di uguaglianza e di pari
dignità di tutti, senza distinzioni di nazionalità di etnia o di
religione.

Oggi, in larghi strati della nostra società, è diffuso un senso di
impotenza e di esasperazione. Sono sentimenti preoccupanti che possono
trasformarsi in sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni.
E' necessario dare una risposta alle istanze di sicurezza della
collettività, ma dobbiamo fare grande attenzione.
Tutti hanno il dovere di osservare le leggi. E tutti hanno il diritto di
essere giudicati solo sulla base dei propri comportamenti.


Dobbiamo vigilare perché le giuste e necessarie azioni repressive verso
coloro che violano le leggi non si trasformino in azioni di intimidazione o
di discriminazione verso gli interi gruppi di appartenenza.

Le leggi esistono e devono essere rispettate. Anche modificate, se
necessario.
Ma contemporaneamente non si deve permettere che cada il principio della
presunzione di innocenza e venga sostituito dall'esatto contrario, da una
presunzione di colpevolezza nei confronti di un gruppo etnico; questo
sarebbe razzismo.

Cerchiamo invece di conoscere e di valorizzare tutte le diversità.
Le occasioni sono tante.
Cogliamo queste opportunità per aprire la nostra società, per
arricchirla.
Vinciamo le diffidenze con la conoscenza.

In questo senso sono certo che i relatori di questo Meeting potranno
fornire un importante contributo teorico e di analisi, ma anche efficaci
proposte di natura politica e sociale.

Ritengo importante, infatti, che l'occasione presentata da questo
dibattito non debba esaurirsi in sterili teorizzazioni o dichiarazioni di
principio, ma che, invece, debba consentire di affrontare in maniera
civile e costruttiva le cause e le conseguenze del disagio e
dell'emarginazione nei quali vivono gran parte degli stranieri immigrati
in Italia.
Le loro condizioni di vita miglioreranno solo se riusciremo ad ottenere la
loro stessa collaborazione, aiutandoli, così, ad entrare in sintonia con
le leggi, le tradizioni e la civiltà di questo paese nel quale hanno
scelto di trasferirsi e nel quale molte persone sono pronte a lottare per
difendere i loro diritti e la loro specifica identità.

La nostra esperienza di ebrei in Italia, una presenza di oltre venti
secoli, ci rende consapevoli del fatto che superare le diffidenze causate
dalle differenze non è facile, ma è possibile.
Che si può vivere integrati nella società con la propria cultura; senza
perdere le proprie usanze e tradizioni, e contribuendo con i propri valori
ad arricchire la società stessa.
Perché la diversità deve essere una ricchezza. E una società che conosce
e capisce le differenze diventa più accogliente e, quindi, più giusta,
per tutti.

Renzo Gattegna
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(A CURA DI ucei iNFORMA)

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